Pensioni e stipendi, per legge, possono
essere pignorati solo fino a un tetto massimo di un quinto. Si tratta, però, di un limite facilmente
superabile. Il creditore, infatti, non deve far altro che attendere che tali
emolumenti vengano depositati in banca: dopo tale momento, essi – confondendosi
con gli altri risparmi – possono essere pignorati fino al 100%. È questo,
almeno, sino ad oggi, l’orientamento dei giudici.
Posto, infatti, che il decreto legge “Salva Italia” ha imposto l’apertura di un conto
corrente ove far affluire le pensioni superiori a mille euro la legge ha, di
fatto, abolito la pignorabilità del “quinto”, rendendo assai più facile il
pignoramento integrale della pensione.
Sembra però che ci sia una via d’uscita e il suggerimento è stato
dato il mese scorso da una sentenza del Tribunale di Savona
che ha escluso la possibilità che Equitalia possa pignorare tutto il conto corrente del pensionato qualora
questi riesca a dimostrare che, all’attivo del conto, non vi siano altre voci
diverse dalla pensione. In tal caso, riuscendo a dare prova al giudice che sul
conto vi affluiscono solo e unicamente i redditi pensionistici, è possibile bloccare Equitalia e far applicare la regola
generale in base alla quale la pensione non può essere pignorata fino al minimo vitale (525,89 euro) e, per la
residua parte, solo nei limiti di un quinto.
Un assegno di pensione o
uno stipendio resta, infatti, tale anche se è depositato su un libretto postale o conto corrente, e pertanto non può essere pignorato oltre i limiti fissati
dalla legge.
Stando, quindi, a questo condivisibile
precedente, tutto ciò che dovrà fare il pensionato o il lavoratore subordinato
è di non utilizzare il conto per farvi affluire somme diverse, rispettivamente,
dalla pensione o dal reddito di lavoro. In tal caso, è legittimo chiedere la
sospensione del pignoramento integrale.