Una recente sentenza
della Corte di Cassazione (sentenza n. 44700 del 6.11.2013) ha chiarito che il
reato di maltrattamenti in famiglia non si configura solo nel caso di percosse
e lesioni, e dunque di violenze fisiche, ma il suddetto crimine ricorre anche
nel caso in cui la vittima subisce ingiurie,
minacce, privazioni o umiliazioni.
Vi rientrano pertanto
tutti gli atti di disprezzo e di offesa alla dignità della persona che diventino
vere e proprie sofferenze morali, quando animate
da una volontà di vessare il soggetto passivo
Il reato si considera
consumato e perfezionato con l’ultima di tale
serie di atti, pur se protrattisi successivamente alla separazione dei coniugi.
Per la sua configurazione il reato richiede una serie
abituale di condotte che possono estrinsecarsi in atti lesivi
dell’integrità psicofisica, dell’onore, del decoro o di mero disprezzo e
prevaricazione del soggetto passivo, attuati anche in un arco temporale ampio, ma entro il quale possono
essere individuati come espressione di un costante atteggiamento del reo di maltrattare o denigrare il soggetto passivo.
Oltre a ciò, una
successiva sentenza (n. 2326 del 20.01.2014) ha chiarito che fatti occasionali ed episodici, pur penalmente
rilevanti in relazione ad altre figure di reato (ingiurie, minacce, lesioni),
determinati da situazioni contingenti (ad esempio, rapporti interpersonali
connotati da permanente conflittualità) e come tali non suscettibili di essere
inquadrati in un una cornice unitaria, non rientrano nel reato di
maltrattamenti in famiglia.
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