Il lavoratore che subisce il mobbing da parte del proprio datore di
lavoro (e/o dei colleghi) può denunciare le condotte vessatorie in Tribunale e
ottenere il risarcimento del danno.
La Cassazione, con
sentenza n. 898 del 17 gennaio 2014, ha sancito che ai fini del risarcimento è però necessario provare l’esistenza
di determinati comportamenti persecutori e offensivi,
reiterati nel tempo, che siano stati la causa effettiva di un danno
psicologico, di sofferenze morali o stress sul luogo di lavoro
Il lavoratore
mobbizzato deve provare in particolare:
1) I comportamenti
illeciti: una serie di
comportamenti di carattere persecutorio
posti in essere con intento vessatorio nei
propri confronti. Non basta però provare un atteggiamento isolato da parte del
datore o dei colleghi, ma è necessaria una condotta vessatoria reiterata,
cioè prolungatasi in un arco temporale medio-lungo in modo da creare un
ambiente di lavoro ostile e invivibile.
2) Il danno: ossia una lesione della salute o della propria personalità:
è necessario provare con dichiarazioni testimoniali, ma ancora più
efficacemente con perizie e certificati medici, che la condotta mobbizzante
del datore o dei colleghi ha provocato un danno alla propria salute
psico-fisica.
3) Il rapporto di causa/effetto:
ossia bisogna dimostrare che è proprio dalla condotta del datore (o dei
colleghi) che è derivato il danno all’integrità psico-fisica (e non quindi da
altri fattori). Affinché possa essere
accertato il danno da mobbing è necessario provare lo stretto legame causale tra condotte vessatorie e
danno.
Dunque, è necessaria la
prova di tutti questi requisiti (condotta vessatoria, danno e nesso causale)
affinché si possa parlare di mobbing e
riconoscere al soggetto danneggiato il risarcimento del danno biologico
(inteso, appunto, come danno alla salute psico-fisica e quindi anche danno
morale ed esistenziale).
I comportamenti vessatori come possono essere provati e
dimostrati in giudizio?
Gli strumenti a
disposizione del lavoratore sono innanzitutto le testimonianze dei colleghi o di chi, essendo
presente sul luogo di lavoro, è in grado di dichiarare l’evidenza del mobbing.
Assumono valore rilevante tutte le possibili comunicazioni tra
il dipendente vessato e l’autore del mobbing: per esempio, email, lettere, sms dal cui contenuto si evince l’intento di
persecuzione psicologica (per esempio frasi offensive o intimidatorie).
Pertanto, chi subisce
il mobbing ha un onere della prova particolarmente complesso.
È quindi necessario essere sicuri di avere a disposizione abbastanza elementi
probatori prima di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno.
Fonte immagine:
www.ciam-mobbing.it