Spesso capita che i
tempi di consegna di una casa, acquistata “sulla carta”, non vengano poi
rispettati dal costruttore. In genere quest’ultimo, però, è sempre abbastanza
avveduto da non indicare, nel contratto preliminare, termini perentori per
l’ultimazione dei lavori o, comunque, predispone clausole che gli consentano
ampie scappatoie.
Tuttavia, la
Cassazione, con una recente sentenza (sent. n. 4352/2013) ha
voluto tendere una mano alle parti acquirenti, stabilendo che, nel caso di
ritardata consegna di un immobile oggetto di compravendita, il venditore è
tenuto a corrispondere un risarcimento pari in base al valore di locazione
del bene: cioè, in pratica, egli deve versare una somma pari a quelle che
l’acquirente avrebbe potuto intascare dando in affitto, ad altre persone,
l’appartamento.
C’è da dire che, nel
caso di specie deciso dalla Corte, il compratore era un imprenditore che
aveva interessi nel campo immobiliare per uso investimento. In questo caso, la
Cassazione ha escluso l’uso di generici sistemi di risarcimento su base “equitativa”,
ma li ha ancorati a valori specifici di mercato, argomentando che la mancata
acquisizione dell’immobile determina, per l’imprenditore, l’impossibilità di
conseguire quegli utili dal normale utilizzo fruttifero del bene.
La questione potrebbe
essere parzialmente diversa per i privati, i quali dovrebbero riuscire a dar
prova di avere subìto un effettivo danno economico. Così, per esempio, non ci
sarebbero problemi laddove la parte riesca a dimostrare che l’immobile era
stato acquistato per uso investimento (perché, per esempio, esso è
vicino ad un ateneo e, nello stesso tempo, l’acquirente già disponeva di una
dimora di proprietà).
Negli altri casi,
invece, la prova potrebbe essere più difficoltosa e, quantomeno, sarebbe
necessario dimostrare le spese sostenute per occupare, nel frattempo, un
immobile a titolo provvisorio.