Il proprietario di un edificio
o di altra costruzione è responsabile dei danni causati dalla loro rovina,
se non ha mantenuto l’immobile nel suo stato ottimale oppure non ha provveduto
ad eliminare i difetti di costruzione (art.
2053 c. civ.). Di conseguenza, colui che ha subito lesioni dalla
disgregazione di un fabbricato o dal distacco, caduta o frantumazione di una
sua parte, può pretendere il risarcimento danni dal proprietario.
La norma si applica per
i danni subiti da qualsiasi tipologia di immobile, non soltanto case o palazzi,
ma anche muri di cinta, reti metalliche, tabelloni, travi, insomma per ogni
opera che sia ancorata al suolo, anche se in modo transitorio.
La massima tutela al
danneggiato è garantita dalla presunzione di colpa in capo al
proprietario: ciò significa che il proprietario è considerato sempre responsabile,
a meno che non sia lui stesso a dimostrare il contrario. Vale, insomma – almeno
in questo campo – il principio dell’inversione dell’onere della prova,
secondo il quale non deve essere il danneggiato a provare i fatti per i quali
chiede il risarcimento, ma è il chiamato in giudizio – in questo caso il
proprietario – a dimostrare l’assenza di colpa per l’accaduto.
Diverso è il caso in
cui si accerti che i danni sono stati causati da un difetto di costruzione.
In tal caso il proprietario, in presenza di determinati presupposti (art. 1669 c. civ.), è tenuto comunque
a risarcire il danneggiato, ma può rivalersi successivamente sull’appaltatore
che, nel costruire l’opera, non ha rispettato i criteri necessari a mantenere
il bene stabile e duraturo nel tempo.