Un automobilista che risulti visibilmente in "stato di alterazione", dopo essere stato fermato dalle forze dell'ordine, non può essere sottoposto all'alcoltest senza essere "preventivamente" avvertito della "facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia". Altrimenti "l'accertamento" sul suo tasso alcolemico è nullo e non vale come prova nel processo.
E' l'innovativo principio stabilito da una sentenza del gup milanese Donatella Banci Buonamici, la quale ha assolto ventenne che malgrado guidasse con "occhi lucidi e alito vinoso" ed era stato trovato "positivo" all'etilometro, non era stato avvisato del diritto di nominare un avvocato prima del test.
Lo stesso principio è stato affermato dall’ultimo grado della magistratura: con ben due sentenze. La Cassazione ha confermato il principio che aveva espresso il giudice milanese. È nulla – ribadisce la Corte – la prova con l’alcoltest se l’automobilista non viene avvisato dalla pattuglia che può farsi assistere da un legale.
Tuttavia – precisano ulteriormente i supremi giudici – è necessario che il conducente eccepisca tale nullità prima del compimento del test o subito dopo; diversamente, i risultati possono essere utilizzati contro di lui. Quindi, egli non può ricordarsi della mancata “informativa” solo in giudizio.
Insomma, chi vuol rendere inutilizzabili, nei propri confronti, i risultati dell’alcoltest deve far notare alla polizia di non essere stato avvisato della facoltà di farsi assistere da un avvocato durante la prova prima del compimento dell’atto o subito dopo.
Claudio De Lucia