martedì 28 gennaio 2014

Sono intestataria di una carta ricaricabile bancaria e mi è stata “svuotata” probabilmente da un hacker. Ho diritto ad essere risarcita dalla banca?

L’istituto di credito deve rimborsare il proprio cliente qualora la carta ricaricabile venga “svuotata” tramite operazioni di “hackeraggio”.

Una recente sentenza del Giudice di Pace di Lecce (sent. n. 97/2014) ha disposto, infatti, che il malcapitato correntista vittima di phishing, dopo essersi visto svuotare interamente la propria carta di credito ricaricabile da un hacker, ha ottenuto l’integrale ripristino della provvista. Il magistrato onorario ha dunque condannato la banca per violazione del codice della privacy e per non aver predisposto un sistema sicuro che garantisse al cliente l’accesso all’home banking.

Il codice privacy impone ad ogni istituto di credito di garantire, ai propri clienti, un sistema di home banking sicuro, con credenziali di accesso anti-phishing. Il che implica la necessità dei cosiddetti sms-alert (messaggini che avvisino di eventuali prelievi dalla carta) o del token (un sistema generatore di infinite password).

Se tali garanzie non vengono predisposte e non sono funzionanti, la banca che fa home o internet banking è tenuta a risarcire il cliente vittima dell’hacker che gli ha clonato la carta ricaricabile o comunque è riuscito ad intrufolarsi nel suo account di home banking.

Nella sentenza in commento si ricorda che il codice della privacy impone, a chi è responsabile del trattamento dei dati personali, di tutelare la riservatezza delle informazioni, inclusi i codici di accesso alle provviste economiche on line.

Lo stratagemma messo in atto dal phisher è il consueto: una mail nella casella di posta elettronica del correntista che lo invita ad accedere urgentemente al proprio servizio di home bancking. In realtà, l’utente viene dirottato verso una pagina in tutto identica a quella dell’istituto di credito, ma che è invece una perfetta imitazione. Ivi, una volta immesse le credenziali di accesso all’account, le stesse vengono “intercettate” dal criminale informatico e usate successivamente per svuotare il conto (quello reale) del malcapitato.

Ebbene, se il sistema di sicurezza adoperato dalla banca risulta debole e l’istituto non garantisce accorgimenti come sms-alert o la chiave d’accesso token, che segnalino ogni singola operazione, il correntista potrebbe non accorgersi mai di essere caduto della trappola del phishing.  In questi casi, dunque, l’istituto di credito deve essere condannato al risarcimento del danno per mancata attuazione delle norme del codice della privacy. La banca, peraltro, nei rapporti contrattuali con il cliente risponde secondo le regole del mandato. E la diligenza del “buon banchiere richiede un livello di prudenza elevata quando si ha a che fare con transazioni via web.