Il blog di Claudio De Lucia

INFORMAZIONE SINTETICA ED ESSENZIALE SUL MONDO DELLE LEGGI E DELLA GIURISPRUDENZA

IL SIGINIFICATO DEI TERMINI LEGALI PIU' USATI IN TELEVISIONE E SULLA STAMPA

COME DIFENDERSI DAI PICCOLI SOPRUSI QUOTIDIANI

COME AGIRE EFFICACEMENTE NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E DELLE GRANDI IMPRESE

QUALI SONO I DIRITTI DEI CITTADINI, QUALI LE PIU' RECENTI SENTENZE DELLA CASSAZIONE E COME AGISCONO SULLA VITA DI TUTTI I GIORNI

lunedì 30 settembre 2013

Lo sai che...da domani aumenta l'IVA dal 21% al 22%? Ecco cosa è necessario sapere entro oggi

Domani (1.10.2013) scatta l’Iva al 22%. Tutti i prezzi verranno aggiornati e i preventivi già rilasciati con il calcolo dell’Iva al 21% dovranno essere rivisti in aumento. In pratica, questo significa che chi aveva avuto un preventivo per lavori, per l’acquisto di un bene o per una prestazione professionale (per esempio, quella di un avvocato o di un architetto) si troverà a dover pagare di più di quanto gli era stato anticipato.

 

Secondo gli studi di alcune associazioni di consumatori l’impatto sarà di circa 200 euro all’anno per famiglia.

 

COSA E' NECESSARIO SAPERE? DOMANDE E RISPOSTE

 

1. L’aumento dell’Iva dal 21 al 22% scatta in automatico l’1 ottobre?

Si, lo prevede la legge che dispone testualmente: “A decorrere dal 1° ottobre 2013, l’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto del 21 per cento è rideterminata nella misura del 22%”

 

L’unico modo per bloccare questo aumento sarebbe la modifica di tale norma con un apposito decreto legge del Governo entro e non oltre oggi: cosa però alquanto improbabile, attesa l’attuale impossibilità dell’esecutivo a funzionare.

 

2. Il Governo potrebbe approvare anche successivamente un decreto legge di “blocco” dell’Iva al 21%?

Sì, ma, in ogni caso, da domani 1° ottobre, si deve comunque applicare l’aliquota del 22%.

 

3. Cosa va modificato nei registratori di cassa dei commercianti?

Deve essere modificata l’aliquota dell’Iva ordinaria in tutte le fatture fiscali.

 

4. Che aliquota si usa per gli ordini fatti con l’Iva al 21% ma con consegna successiva?

Si deve applicare l’Iva vigente al momento della consegna del bene e non quella in vigore alla data di stipula del relativo contratto od ordine (scritto o verbale). Quindi si avrà che:

 

a) per tutte le merci consegnate dopo il 30 settembre 2013, si applica l’Iva al 22%, anche se i contratti o gli ordini erano stati fatti quando l’Iva era ancora al 21%;

 

b) per tutte le merci consegnate dopo il 30 settembre 2013, ma la cui fattura era stata emessa in precedenza o era stato comunque già pagato il corrispettivo, resta in vigore l’Iva al 21%;

 

c) se infine, prima del 30 settembre l’acquirente aveva corrisposto un anticipo del prezzo, per esso resta l’Iva al 21%, mentre per il saldo dovrà applicarsi l’Iva al 22%.

 

Per cui, ai soggetti che non possono recuperare l’Iva sugli acquisti (in genere i consumatori finali o le imprese e i professionisti nel regime dei minimi) converrà saldare subito i conti.

 

5. Da quando parte la nuova aliquota per le fatture sui servizi?

Le prestazioni di servizi si considerano effettuate al momento del pagamento; quindi, si può evitare l’Iva al 22% e continuare a pagare quella al 21% se il conto viene saldato entro oggi, indipendentemente dal fatto che la prestazione sia iniziata o terminata successivamente.

 

6. Che cosa cambia per le imprese, i professionisti e le persone fisiche?

Per le imprese e i professionisti, in generale l’Iva non è un costo, perché viene recuperata; per i privati ciò non è invece possibile, quindi l’aumento dell’aliquota ordinaria potrebbe far anticipare al mese di settembre 2013 alcuni acquisti di beni mobili, programmati successivamente. Ad esempio, nell’ambito di una ristrutturazione edilizia, di qualunque immobile (abitativo e no), conviene anticipare l’acquisto delle materie prime e dei semilavorati, in quanto dal primo ottobre si applicherà l’Iva del 22%, mentre è indifferente l’anticipo dell’acquisto dei beni finiti (come ad esempio gli infissi, i sanitari per il bagno, i prodotti per impianti idrici, di riscaldamento, elettrici o del gas), per i quali continua ad applicarsi il 10%.

 

Anche per le parcelle dei professionisti converrà effettuare il saldo entro oggi.

fonte:leggepertutti

Claudio De Lucia

 

 

domenica 29 settembre 2013

Sono un cassaintegrato, posso svolgere un altro lavoro senza perdere l'assegno della cassa?

La legge Italiana non impedisce ad un lavoratore in cassa integrazione di svolgere un altro lavoro, sia subordinato che autonomo. Affinché questo sia possibile è necessario rispettare alcune condizioni.

 

Innanzitutto, la nuova attività lavorativa che si intraprende deve essere temporanea. Durante tale periodo, l’integrazione salariale è sospesa e, con essa, anche il versamento dei contributi da parte del datore di lavoro con il quale si è cassa integrati.

 

La sospensione si chiede informando l’Inps, il proprio datore di lavoro e il Centro per l’Impiego, tramite raccomandata a.r., dell’inizio della nuova attività a tempo determinato.

 

Terminato il periodo in cui si è svolta tale occupazione, il lavoratore dovrà comunicare all’Inps la conclusione della nuova attività, allegando alla comunicazione il contratto di lavoro o una dichiarazione del datore di lavoro che attesti la cessazione della collaborazione. L’Inps, valutata la documentazione ricevuta, provvederà quindi a ripristinare la cassa integrazione precedentemente sospesa.

 

La mancata comunicazione all’Inps e all’impresa dalla quale si è cassa integrati, in forma cartacea a mezzo raccomandata a.r., dell’inizio della nuova attività non comporta più la decadenza dal diritto di integrazione salariale.

 

Qualora invece la nuova occupazione sia a tempo indeterminato, dopo il periodo di prova, il rapporto di lavoro con l’azienda di provenienza cessa definitivamente e non vi è più possibilità di rientrare in cassa integrazione. È invece ammesso il rientro qualora non si dovesse superare il periodo di prova.

 

POSSO CUMULARE LA CASSA CON IL NUOVO STIPENDIO?

 

Il lavoratore part-time cassintegrato può cumulare in modo pieno l’integrazione salariale della cassa integrazione con una seconda attività lavorativa part-time a patto che questa ulteriore occupazione si svolga in orari diversi rispetto a quelli del rapporto di lavoro sospeso. Se, ad esempio, con la prima azienda si lavorava solo la mattina, con la nuova azienda sarà possibile lavorare part-time il pomeriggio o la sera, senza perdere la cassa integrazione. In sostanza, i due orari non devono accavallarsi.

 

Il lavoro occasionale accessorio, o prestazione occasionale, è compatibile con la cassa integrazione e non la fa decadere, a patto che i guadagni di questa seconda attività non superino i 3.000 euro l’anno.

 

 Il lavoro occasionale è retribuito attraverso i buoni lavoro (cosiddetti voucher). I buoni lavoro vengono utilizzati per remunerare quelle prestazioni eseguite al di fuori di un normale contratto di lavoro in modo discontinuo e saltuario. In questo modo, il datore di lavoro può, in base alle necessità della sua azienda, ampliare occasionalmente l’organico nella piena legalità;  il lavoratore, invece, può aumentare le proprie entrate con un compenso esente da ogni imposizione fiscale e che non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato.

 

PRECISAZIONI:

L'INPS, con messaggio n. 15079 del 25 settembre, ha ricordato alle proprie sedi periferiche che per effetto dell’interpretazione autentica contenuta nell’art. 9, comma 5, del D.L. n. 76/2013, convertito con modificazioni, nella legge n. 99/2013 (pluriefficacia delle comunicazioni), la sola mancata comunicazione all’INPS del lavoratore in integrazione salariale o in mobilità riferita allo svolgimento di un’attività lavorativa, non fa perdere il diritto all’integrazione, atteso che la comunicazione del datore di lavoro di assunzione attraverso l’invio telematico del modello Unilav, assolve e comprende tale onere. Ovviamente, l’Istituto provvederà a sospendere o a rideterminare l’importo per il lavoratore interessato.

 
Fonte: laleggepertutti

Claudio De Lucia

 

martedì 24 settembre 2013

Lo stato miserevole del capitalismo italiano. Addio Telecom Italia, addio Italia. Perchè Telecom ha venduto?

L'accordo in Telco è raggiunto. I soci della holding al 22,4% di Telecom hanno sottoscritto un’intesa che prevede l’uscita graduale degli azionisti italiani (Generali, Mediobanca e Intesa SP) e la salita degli spagnoli di Telefonica fino al 65-70% in una prima fase, ma potendo arrivare al 100% di Telco sin dal prossimo gennaio. In sostanza, gli spagnoli controlleranno Telecom con il 22,4% e la transizione da qui al nuovo anno serve solo per prendere tempo e farsi rilasciare le dovute autorizzazioni in Italia e all’estero e a mettere mano al riassetto dell’ex monopolista.

 

Tra equity e assunzione di debiti, l’operazione costerà a Telefonica appena 800 milioni. Con questi spiccioli, il controllo passerà agli spagnoli. L’entità è così bassa, che bene delinea lo stato miserevole del capitalismo italiano.

 

La soluzione Telefonica è la peggiore che avrebbe potuto spettare a Telecom. Gli spagnoli sembrano investire per liquidarsi definitivamente di un loro concorrente. Non si tratta di nazionalismo finanziario. Nessuno rimpiange l’era Colaninno e quella di Tronchetti-Provera. L’accordo di ieri è l’ultimo atto di una privatizzazione che negli anni Novanta ebbe tutto il sapore di una regalia e che oggi si conclude con la distruzione dell’asset per mani straniere.

 

Il futuro della compagnia italiana è che Telefonica ha agito non da azionista di controllo, quindi, da proprietario che ha a cuore le sorti della controllata, bensì da rivale.

 

L'operazione non dovrebbe avere ricadute sul piano occupazionale, almeno a dare credito all'amministratore delegato di Telecom, Marco Patuano, che poche ore prima dell'intesa aveva rassicurato: «Non sono intenzionato a licenziare proprio nessuno», aggiungendo però che serve «un modello sostenibile nel lungo termine, che favorisca gli investimenti e quindi regole stabili pro-competitive e pro-investimenti». Ma i sindacati parlano di 16mila posti di lavoro a rischio.

Cosa ne sarà dell’Italia? 

Claudio De Lucia

lunedì 23 settembre 2013

Reato a mezzo Facebook: i 9 casi più curiosi.

Quali sono i reati più singolari commessi attraverso Facebook? Il sito Oddee ha raccolto una lista di 9 episodi realmente accaduti.

 

1 - Shannon Jackson aveva un ordine restrittivo, che le impediva di contattare una persona. Lei forse non aveva capito che il divieto valeva anche per i social network e l’ha contattata tramite Facebook. Risultato: è stata arrestata.

 

2 - Fouad Mourtada, marocchino di 26 anni, è stato arrestato con l’accusa di “pratiche malvage”. La sua colpa è stata quella di fingersi un’altra persona, ma non uno qualunque: ha finto di essere il fratello del re Mohammed VI.

 

3 - Un ex medico d’emergenza, Mark Musarella, ha perso il lavoro presso il New York Police Department dopo che aveva postato sul social network le foto di una donna picchiata e strangolata.

 

4 - Naomi Anderson, australiana di 23 anni, è stata condannata per “grave crudeltà verso gli animali” dalla la Caboolture Magistrates Court. Aveva decapitato un topo e poi aveva condiviso il filmato con i suoi amici.

 

5- Due ragazzine di 11 e 12 anni sono riuscite a entrare nel profilo di un loro coetaneo e hanno pubblicato foto “sessualmente esplicite”. Ora sono accusate di cyberstalking.

 

6 – Hanno mangiato un’iguana in via di estinzione e poi hanno messo le foto della grigliata su Facebook. Una coppia di americani è finita sotto processo (dopo la detenzione nelle isole Bahamas).

 

7 - Una ragazza lo aveva accusato di stupro, allora lui ha deciso di ucciderla: per reclutare il killer, però, aveva usato Facebook e aveva scritto dei messaggi che sono stati giudicati dalla Polizia più che espliciti. Oltre all’accusa di stupro, il diciannovenne ha patteggiato la pena per istigazione all’omicidio.

 

8 – Aveva invitato a diventare amica su Facebook anche la persona verso la quale aveva un ordine restrittivo: 7 giorni in prigione. Le indagini hanno permesso di scoprire che l’uomo ha peccato di ingenuità: ha utilizzato la funzione che chiede automaticamente a tutti i propri contatti email di diventare amici.

 

9 – Aveva riempito di carta igienica gli scarichi del bagno di una biblioteca pubblica: ne è scaturito un allagamento che ha provocato tantissimi danni. Un sedicenne di Portsmouth non ha però resistito alla tentazione di vantarsi della bravata su Facebook e per questo è stato “beccato”.

Claudio De Lucia

sabato 21 settembre 2013

Cartelloni pubblicitari abusivi? Attenzione, paga anche la persona (compreso l'aspirante politico sorridente sul manifesto) e l'azienda pubblicizzata.

Candidati politici sorridenti? Attività commerciali prossime all'apertura?

Il cartellone pubblicitario è abusivo? Adesso anche il soggetto e l'azienda pubblicizzata pagheranno la sanzione.

Una novità non recentissima, risalente infatti al Luglio 2011, ma che non tutti conoscono ancora bene, o meglio fingono di non conoscere. In particolar modo, nel sud Italia la norma sanzionatoria non viene mai applicata; è oramai diventata prassi comune affiggere manifesti abusivi.

 

L’art. 23 del nuovo Codice della strada prevede adesso la responsabilità solidale tra pubblicitario e soggetto pubblicizzato.

 

Peraltro, per il cartello che presenti requisiti difformi rispetto alle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, la sanzione è così aumentata:

a) il minimo passa da € 159,00 a € 1.376,55;

b) il massimo passa da € 639,00 a € 14.000,00;

Il massimo edittale viene applicato, solo in casi limite, nei confronti di chi propone il ricorso e lo perde. Ciò perché, per anni, l’abusivismo pubblicitario si è nutrito di ricorsi inutili, ingenerando la prassi i così detti “ricorsi facili”.

 

Nei casi di abusivismo totale (cartelloni privi di autorizzazione), invece, la sanzione amministrativa va da un minimo di € 4.455,00 a un massimo di € 17.823,00.

 

Almeno VOI, aspiranti politici, abbiate buon senso. Dovreste essere i fautori della legalità, tuttalpiù fingete di esserlo!

Claudio De Lucia

 

venerdì 20 settembre 2013

È vietato ricevere sesso orale mentre si è alla guida di un autoveicolo? Domanda sconcertante? Sicuramente lecita. Vediamo i dettagli.

Il codice della strada non contiene disposizioni che vietino, in modo particolareggiato, il compimento di atti sessuali mentre si è alla guida di un autoveicolo.

 

Ciò ovviamente non giustifica incondizionatamente qualsiasi tipo di "atto di piacere" al volante. Infatti, al di là se l’atto in sé integri o meno il reato di atti osceni in luogo pubblico (la strada in sé, infatti, per quanto poco trafficata o in ambienti notturni, resta sempre un luogo di pubblico traffico), tale condotta potrebbe comunque integrare l’illecito amministrativo contrario al codice della strada.

 

Vi sono infatti delle disposizioni generali che impongono al conducente una condotta responsabile, tale da non rappresentare un pericolo per sé e per gli altri.

 

In particolare, il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, in particolare l’arresto tempestivo del mezzo (Art. 141, c. 2, C.d.S., violazione punita con una multa da 41 a 168 euro); il conducente deve, inoltre, avere la più ampia libertà di movimento per effettuare le manovre necessarie alla guida (Art. 169, c. 1, C.d.S., violazione punita con una multa da 84 a 335 euro).

 

Il sesso orale, indubbiamente, per quanto consenta ampia libertà di manovra al conducente (che resta in una situazione di passività per tutta la durata dell’atto), tuttavia  ne riduce il livello di attenzione, compromette la prontezza di riflessi e ne appanna la capacità di lettura delle dinamiche stradali.

 

Quindi, poche speranze: a ricevere le attenzioni della propria compagna mentre le mani sono al volante, si corre il rischio di una sanzione per guida pericolosa.

 

A tal proposito si ricorda che la condotta pericolosa viene valutata caso per caso: sulla base di elementi oggettivi ma anche del libero apprezzamento degli agenti accertatori.

 

Inoltre, in caso di sinistro stradale, qualora nel verbale redatto dalle forze dell’ordine vi fosse traccia di un comportamento di tal tipo, al di là dell’imbarazzante situazione che ne potrebbe derivare con chi lo legga, ciò peserebbe non poco sull’attribuzione della responsabilità del sinistro e sull’eventuale risarcimento del danno in sede assicurativa.

Fonte:leggepertutti

 Claudio De Lucia

 

martedì 17 settembre 2013

Lo sai che...se si spegne la luce nelle scale del condominio e cadi hai diritto ad essere risarcito?

Sono uscito da casa di un amico che vive in un condominio nei pressi di Caserta e mi sono avvicinato all'interruttore per poter accendere la luce e scendere tranquillamente le scale. Dopo due vani tentativi, pensando che le lampadine fossero fulminate, mi accingevo a scendere incurante del buio. Dopo aver superato la prima rampa sono inciampato e la caduta mi ha comportato una frattura al gomito ed all'avambraccio destro. Cosa posso fare? Il mio amico mi ha riferito che purtroppo l'amministratore non aveva ancora provveduto a far sostituire le lampadine fulminate.

 

Il condominio e l’amministratore sono responsabili verso terzi per una caduta dalle scale a seguito dello spegnimento della luce nelle scale condominiali.

 

Ha diritto ad essere risarcito dei danni subiti chi cade dalle scale del condominio per via dello spegnimento dell'illuminazione comune. Tenuto a corrispondere l’indennizzo è il condominio, in persona dell’amministratore che lo rappresenta, a cui andrà indirizzata la richiesta di pagamento mediante raccomandata a.r., informandosi sulla eventuale copertura assicurativa dello stabile.

 

In questi casi, il condominio ha una responsabilità oggettiva: esso cioè deve risarcire ogni danno subìto dal terzo anche se l’evento lesivo si è verificato senza sua volontà o colpa. A riguardo si parla di “responsabilità per cose in custodia” ex art. 2051 c.civ.

 

L’unico modo per il condominio di evitare la condanna al risarcimento è dimostrare (cosa di non facile conto) che l’evento si è verificato per caso di forza maggiore o a causa del comportamento colposo, in tutto o in parte, del danneggiato.

Claudio De Lucia

domenica 15 settembre 2013

Esami universitari: posso registrare un video dell'esame se il professore mi boccia senza motivo?

È lecito registrare un video di un esame universitario per dimostrare che il professore mi ha bocciato  senza motivazioni valide, ponendomi domande che non sono nel programma ed utilizzando un modo di fare intimidatorio?

 

Una domanda molto bizzarra alla quale cercherò di dare una risposta che potrebbe sicuramente tutelare gli studenti sotto un nuovo profilo, poco conosciuto. A chi non è mai capitato di sentirsi porre una domanda  relativamente ad un argomento mai trattato durante il corso o che il testo universitario ha analizzato solo in maniera molto superficiale?

 

Vogliamo dircela tutta? Per superare un esame ci vuole, oltre a una preparazione ferrea, anche una certa dose di fortuna. Le cose poi si complicano se, quella mattina, il prof si è alzato col piede storto. Tuttavia, al di là degli umori del docente di turno, è diritto di ogni alunno essere esaminati in modo equo, imparziale e su domande coerenti e aderenti al programma svolto.

 

Pertanto, nei casi di abusi da parte del prof o dei suoi assistenti (specie di quelli senza un effettivo inquadramento nell’organico universitario), è sacrosanto diritto degli studenti tutelarsi ed essere tutelati. Infatti, registrare il video con un esame universitario non è illecito e, pertanto, non può essere ostacolato! Nel diritto penale, infatti, vige la regola generale per cui tutto ciò che non è vietato è consentito. Un’eventuale direttiva del rettore, che impedisca le riprese in aula, non costituendo norma di legge, non potrebbe limitare i diritti soggettivi delle persone. Lo studente, quindi, ben potrebbe – anche di nascosto – riprendere il proprio esame per far valere la lesione di un proprio diritto tutelato dalla Costituzione.

 

L’esame universitario è, di per sé, la sede pubblica nella quale il candidato, davanti a una commissione, si sottopone alla verifica e alla valutazione della propria preparazione. Ciò comporta che, sia i docenti, sia lo studente, hanno perfetta percezione della rilevanza pubblicistica dell’esame e della pubblicità delle domande e delle risposte. Il fatto stesso che la registrazione dell’esame, nel verbale cartaceo o elettronico, preveda l’indicazione delle domande, attesta la natura pubblicistica della conversazione e la dovuta trasparenza da osservare in tutte le fasi dell’esame.

 

Ne discende che la privacy cede e deve cedere davanti all’interesse pubblicistico che l’esame si svolga in condizioni di trasparenza, imparzialità, correttezza, dovute dai docenti – che rivestono il ruolo di pubblici ufficiali – nei confronti dello studente interrogato e di tutti gli altri studenti potenzialmente interessati.

 

È la tutela di tali diritti che legittima, si ritiene, la registrazione dell’esame, anche a fini cautelativi, soprattutto se si ha avuto modo di assistere, in passato, a comportamenti illeciti da parte del professore o dei suoi assistenti.

 

Come confermato dalla Cassazione, non è illecito registrare una conversazione perché chi conversa accetta il rischio che la conversazione sia documentata mediante registrazione, ma è violata la privacy se si diffonde la conversazione per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio o altrui”.

 

Pertanto, la registrazione di un esame a fini di tutela del proprio/altrui diritti ad essere esaminati in modo equo, imparziale e su domande coerenti e aderenti al programma svolto, integra i fini esclusivamente personali, e non viola la privacy.

 

È vero che il codice della privacy stabilisce che il trattamento di dati personali (…) è ammesso solo con il consenso espresso dell’interessato; ma è anche vero che, nel caso dello studente universitario, quest’ultimo agisce per l’esercizio di un proprio diritto, particolarmente stringente, e per la sua tutela davanti a un giudice in caso di violazione.

 

Un abuso di potere, da parte del professore/commissione PP.UU. che violi/violino il diritto dello studente a essere esaminato con tutte le suddette garanzie, o che si trovi a dover affrontare un esame su argomenti non oggetto del programma, con conseguente bocciatura/valutazione viziata e danno personale, integrerebbe pertanto senz’altro un illecito.

Tale illecito può essere penale o amministrativo.  

 

Illecito penale. Nel caso più grave, qualora il professore/commissione abbia intenzionalmente posto una condotta illecita per ledere il diritto altrui, sarà configurabile il reato di abuso di ufficio .

 

Illecito amministrativo. In assenza di tali presupposti, ma in presenza comunque di un “eccesso di potere”, la condotta integrerà un illecito amministrativo che, se accertato giudizialmente, comporterà la dichiarazione di nullità dell’esame e dei suoi effetti, nonché un risarcimento del danno ingiusto arrecato.

 

Dunque, armarsi o meno di una video-camera in sede d'esame? A voi la scelta.

Fonte: la legge per tutti
 

Claudio De Lucia

giovedì 12 settembre 2013

Truffa Postepay: addebito mai richiesto né effettuato. Come posso difendermi?

Sull’estratto conto della mia Postepay mi viene segnalato un addebito online da me mai richiesto né effettuato; nonostante abbia segnalato la truffa alle poste, la somma non mi è stata ancora restituita. Cosa posso fare?

Quando c'è di mezzo una carta Postepay le truffe nelle transazioni online sono all'ordine del giorno.

 

In queste ipotesi, la prima cosa da fare è recarsi presso la stazione dei Carabinieri più vicina o alla Procura della Repubblica per sporgere una denuncia contro ignoti. È meglio farsi assistere dal proprio legale di fiducia.

 

A questo punto è necessario attivare la procedura denominata di "chargeback", un termine tecnico che indica la modalità attraverso cui vengono gestiti i movimenti soggetti a contestazioni da parte dei titolari di carte di credito, affinché venga stornata la transazione già avvenuta, ma non autorizzata, come previsto dal circuito interbancario .

 

Tale procedimento, però, è attivabile solo entro 60 giorni dalla data di emissione dell’estratto conto da cui risultano i movimenti “sospetti”, attraverso l’invio, a mezzo di raccomandata con avviso di ritorno, a Visa (istituto emittente delle carte Postepay) di una contestazione scritta con allegate le copie delle documentazioni contabili, della carta di credito posseduta e della denuncia contro ignoti effettuata presso le Autorità competenti.

 

La procedura potrebbe anche richiedere tempi lunghi; salvo complicazioni, dovrebbe chiudersi positivamente col rimborso di quanto truffato.

 

P.S. A tutti coloro che utilizzano costantemente la carta Postepay per effettuare transazioni on-line, per evitare spiacevoli inconvenienti, è opportuno caricare sulla stessa esclusivamente la somma  necessaria a concludere l'acquisto.

 

Claudio De Lucia


mercoledì 11 settembre 2013

Chiamate anonime sul cellulare. Come difendersi dai molestatori?

Come posso difendermi dalle telefonate anonime? Posso scoprire e denunciare il molestatore? Certo, tutto ciò oggi è possibile. Vediamo i dettagli.

 

Grazie a Woorming e Numeronascosto è possibile rintracciare le utenze telefoniche nascoste che fanno chiamate anonime e procedere, nei confronti dei titolati, a denunciare per molestie o a una azione civile per il risarcimento del danno.

Non avranno più vita facile i disturbatori notturni, gli stalker o i  maniaci: le molestie telefoniche anonime, i sospiri muti, gli squilli petulanti sono oramai al capolinea. La tecnologia finalmente consente di individuare i numeri e, quindi, le identità, degli scocciatori che nascondono la loro utenza telefonica.

A smascherare la “tenebrosa” dicitura “Sconosciuto”, che appare sul cellulare, vi sono ora numerosi servizi che è possibile trovare gratuitamente sul web.

Uno di questi è Wooming, un applicativo testato e funzionante perfettamente. Wooming ha il pregio di essere gratuito e molto facile da utilizzare.

 

Se non vi dovesse bastare, ora esiste anche “Numeronascosto.com”. Così come Wooming, anche questo servizio è in italiano e sfrutta lo stesso sistema che abbiamo spiegato nell’articolo appena segnalato.

 

Bisogna innanzitutto impostare il servizio di deviazione delle chiamate (al numero fornito nelle istruzioni d’uso. A questo punto, non appena arriva una telefonata da un numero anonimo, basta rifiutarla. “Numeronascosto.com” invia, in tempo reale, all’utente un sms in cui lo avvisa dell’avvenuta “intercettazione” del misterioso molestare e, nel frattempo, su un pannello visionabile dal sito è possibile leggere il numero nascosto.

 

L’unico problema di Numeronascosto.com è il prezzo: l’abbonamento mensile è di 69.90 euro, un costo relativamente elevato se paragonato al concorrente Wooming che, al momento, è ancora gratuito. Il canone va anticipato a inizio mese.

C’è tuttavia da dire che l’abbonamento a Numeronascosto.com può essere disattivato in qualsiasi momento e i giorni non utilizzati verranno rimborsati. In questo modo, se nel frattempo l’utente è riuscito a individuare il seccatore, non avrà bisogno di rimanere vincolato al servizio spendere la residua somma anticipata.

 

In verità – e chi è stato vittima di stalking lo sa bene – non c’è prezzo alla tranquillità. Così, se l’attivazione di Numeronascosto.com può servire a interrompere quel meccanismo perverso che, in questi casi, i molestatori sono abili a innescare, allora anche una cifra come questa sarà ben spesa.

 

C’è anche da dire che le risultanze del servizio potrebbero anche utilizzate per intraprendere le azioni giudiziarie nei confronti del colpevole, intentandogli una causa civile (per il risarcimento del danno) o, se ne ricorrono i presupposti, anche penale. Il reato di molestia, infatti, in questi casi, è sempre dietro l’angolo…

 

Claudio De Lucia

 

venerdì 6 settembre 2013

Service Tax: nuova tassa casa al posto dell'Imu. Non porterà alcun beneficio agli italiani e forse sarà più cara. Novità e differenze

Service Tax dal 2014: come funzionerà e polemiche.

In questi giorni si sta parlando molto della Service Tax. Il Governo ha deciso di cancellare la seconda rata IMU per le abitazioni principali, ma al suo posto prepara l’introduzione di una nuova tassa. Si chiama "Service Tax" ed entrerà in vigore a partire dal 2014. A parte il nome, per la maggior parte della gente ricorda molto l’Imposta Municipale Unica, e quindi non porterà alcun beneficio agli italiani. I contribuenti, infatti, non potranno gioire per l’addio all’IMU, visto che presto arriverà la Service Tax, chiamata anche TASER, che verrà ufficializzata con la Legge di Stabilità il prossimo 15 ottobre.

La Service Tax è una tassa federale che sarà gestita direttamente dai Comuni e costituita da due componenti: TARI (gestione dei rifiuti urbani) e TASI (copertura dei servizi indivisibili). Una delle novità rispetto all’IMU sta proprio nel fatto che la gestione sarà affidata ai Comuni, i quali potranno decidere sia le aliquote che i cittadini dovranno pagare, sia la base imponibile (superficie o rendita catastale).

 

Altra novità, che non farà certo piacere agli inquilini in affitto, sarà che la tassa sarà condivisa fra il proprietario di casa e l’affittuario, perché se da una parte i servizi contribuiscono a determinare il valore commerciale dell’immobile, sono gli affittuari a beneficiare nel concreto dei servizi medesimi come illuminazione pubblica e manutenzione strade

 

La componente TARI riguarderà chiunque occupa, a qualunque titolo, locali o aree suscettibili di produrre rifiuti urbani, con aliquote commisurate alla superficie, mentre la componente TASI sarà a carico di coloro che occupano fabbricati. Al momento non si sa ancora quanto si verrà a pagare, anche se si ipotizza una cifra vicina a quella dell’IMU, se non addirittura maggiore. Bisognerà attendere le aliquote e i coefficienti di calcolo che verranno formalizzati nelle prossime settimane.

 

Per il calcolo della Service Tax, la base imponibile sarà quella dell’Imu, con la rendita originaria dell’immobile rivalutata del 5% e moltiplicata per 160. La Service Tax sta comunque scatenando polemiche, soprattutto da parte degli inquilini, tanto che Walter De Cesaris, segretario nazionale dell'Unione inquilini, parla addirittura di ‘tsunami’, sostenendo che “sulla categoria rischia di abbattersi una stangata media da 1.000 euro”.


Claudio De Lucia

lunedì 2 settembre 2013

Affidamento a coppie omosessuali. È frutto di pregiudizio affermare che sia dannoso per il bambino.

 



La sentenza n. 601/2013 della Cassazione tocca un tema che diventa ogni giorno più scottante, mettendo a nudo l'inerzia del legislatore italiano, il quale è restio a prendere una posizione chiara nei riguardi delle coppie di fatto omosessuali. Il motivo di tale inerzia legislativa è da ricercare, con grande probabilità, nella cultura e nella tradizione religiosa italiana.

 

Motivazioni di ordine politico stanno, dunque, alla base del silenzio legislativo sul tema - raramente interrotto. Questa sentenza, per quanto concisa, pone l'accento non tanto sul diritto in se considerato, ma coinvolge la morale nonché il modo stesso di pensare di una certa cultura, che rappresenta ancora l'humus della comunità sociale italiana. In questa sentenza la Cassazione, con estrema nonchalance, blinda - per così dire - i principi di diritto ricordando non soltanto alle parti del giudizio, ma a tutti i cittadini, che i pregiudizi personali non possono prevaricare le prove. Un pregiudizio od una convinzione, per quanto fondati in una certa ottica di pensiero, non possono trovare accesso in quella che è definita, dai tecnici, la "verità processuale" - a meno che non siano corroborati da fatti oggettivi e verificabili.

 

I giudici della Cassazione scrivono che: "alla base della doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l'equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si da per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che dunque correttamente la Corte d'appello ha preteso fosse specificamente argomentata".

 

Secondo i giudici di legittimità, dunque, l'omosessualità del genitore affidatario del figlio minore, non sarebbe una condizione sufficiente a legittimare l'assunto secondo cui, vivere in una simile realtà, possa recare danno al minore stesso. Dare per scontato una cosa simile sarebbe, secondo i giudici, semplicemente frutto di un pregiudizio socio-culturale, che non può avere nessun rilievo all'interno del processo. La pericolosità di una simile situazione va, dunque, provata in maniera scientifica o, quantomeno, facendo riferimento a comprovati dati di esperienza comune.

 

Claudio De Lucia