Il blog di Claudio De Lucia

INFORMAZIONE SINTETICA ED ESSENZIALE SUL MONDO DELLE LEGGI E DELLA GIURISPRUDENZA

IL SIGINIFICATO DEI TERMINI LEGALI PIU' USATI IN TELEVISIONE E SULLA STAMPA

COME DIFENDERSI DAI PICCOLI SOPRUSI QUOTIDIANI

COME AGIRE EFFICACEMENTE NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E DELLE GRANDI IMPRESE

QUALI SONO I DIRITTI DEI CITTADINI, QUALI LE PIU' RECENTI SENTENZE DELLA CASSAZIONE E COME AGISCONO SULLA VITA DI TUTTI I GIORNI

martedì 31 dicembre 2013

Quali sono le possibilità di tutela che ha il consumatore in caso di acquisto di uno smartphone o tablet da internet che poi si è rivelato difettoso o differente da quello promesso?

Su internet è facile trovare occasioni vantaggiose per fare shopping, specie per chi ama la tecnologia. Tuttavia, alla facilità di reperimento corrisponde anche una maggiore facilità di ricevere qualche delusione. Ecco quindi tutto ciò che bisogna sapere prima di mettersi alla ricerca di tali prodotti. 

Innanzitutto è sempre bene diffidare delle vendite tra privati. Infatti, in questi casi non opera alcuna garanzia del venditore. 

Nel caso invece di acquisto da un rivenditore, in caso di malfunzionamento del prodotto la denuncia dei vizi deve essere inoltrata presso l’azienda venditrice del prodotto stesso; infatti il soggetto che risponde direttamente nei confronti del consumatore è sempre il venditore e il fatto che l’acquisto avvenga via Internet non cambia la sostanza delle cose. L’acquirente ha, inoltre, per legge, entro dieci giorni dalla consegna della merce, il diritto di recesso dalla vendita, senza bisogno di addurre alcuna motivazione. 

Oltre a ciò, il consumatore ha, per legge, la cosiddetta “garanzia legale di conformità” che opera tutte volte in cui il bene non è conforme a quanto promesso dal venditore ed opera per due anni dall’acquisto. I vizi vanno denunciati al venditore entro otto giorni dalla loro scoperta. L’acquirente può chiedere, alternativamente, la riparazione o la sostituzione del prodotto oppure una congrua riduzione del prezzo o, ancora, la risoluzione del contratto con la restituzione del prezzo versato. 

L’azione giudiziale per ottenere la risoluzione e quella volta a ottenere la riduzione del prezzo si prescrivono in un anno dalla consegna del bene acquistato.

Se, in ultimo, il venditore ha inviato un bene diverso da quello promesso (per esempio, un telefono usato) o ha preordinato una messinscena, simulando una volontà di vendere, ma in realtà poi trattenendo la somma senza inviare alcunché all’acquirente, si potrebbe configurare la truffa commerciale.

lunedì 30 dicembre 2013

Legge di stabilità: sono più le nuove tasse che quelle eliminate. Quali saranno le tasse del 2014? Vediamole tutte nel dettaglio

Altro che riduzione delle tasse: la legge di stabilità (Legge n. 147/2013, in vigore dal 1° gennaio 2014) chiude con un saldo di 2,1 miliardi di tasse in più. In altre parole, sono più le nuove tasse che quelle eliminate. Così il 2014 promette di essere un altro anno difficile dal punto di vista fiscale. Gli aumenti di prelievo a carico di cittadini e imprese superano le riduzioni di oltre 2 miliardi. Vediamole nel dettaglio. 
 
Taglio delle detrazioni: innanzitutto è previsto, entro il 31 gennaio (se non saranno adottati provvedimenti per assicurare ulteriori maggiore entrate per 482 milioni di euro, cosa al momento assai difficile) il taglio delle detrazioni fiscali “generiche”: in pratica, la detrazione standard del 19% sarà ridotta al 18% già per il 2013 e al 17% a decorrere dal 2014. 

Aumenta l’imposta di bollo sui prodotti finanziari: maggiori tasse anche per i titolari di un conto corrente bancario o postale. A partire dal primo gennaio dal 2014 sale, dall’1,5 per mille al 2 per mille, l’imposta di bollo sulle “comunicazioni periodiche alla clientela relative a prodotti finanziari” fatte dalle banche, depositi bancari e postali: si tratta degli estratti conto inviati periodicamente ai risparmiatori; è stata però cancellata la soglia minima di 34,20 euro e aumentata (per i soggetti diversi dalle persone fisiche) la misura massima 4.500 a 14.000 euro. L’imposta non è dovuta per le comunicazioni ricevute ed emesse dai fondi pensione e dai fondi sanitari

Aumenta l’Ivafe: cresce, poi, l’Ivafe (l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero) dall’1,5 per mille al 2 per mille).

Benzina: scattano anche gli aumenti (per gli anni 2017 e 2018) delle accise sulla benzina, con e senza piombo e sul gasolio carburante.

Tassa su avvocati, notai e magistrati: è previsto un contributo di 50 euro per la partecipazione all’esame di abilitazione alla professione di avvocato, è stata approvata anche una tassa di 75 euro per gli avvocati che vogliono iscriversi all’albo dei cassazionisti.

Agevolazioni: sale la detrazione per i redditi da lavoro dipendente. Con effetti senza dubbio positivi anche se tutti da pesare in concreto. A conti fatti, la situazione migliora per i lavoratori. Rispetto al 2012, “quest’anno per una famiglia bireddito con un figlio a carico il peso delle tasse diminuisce di 178 euro. Ma se il confronto viene realizzato tra il 2014 e il 2011, anno in cui non era ancora applicata l’Imu, c’è un aggravio di 339 euro”.

TASI: la nuova Tassa copre l’Imu sulle abitazioni principali. La Tasi (Tassa sui servizi indivisibili) potrà essere applicata anche sulle abitazioni principali (stessa base imponibile dell’Imu e l’aliquota sarà decisa dai Comuni). In ogni caso, la somma delle aliquote Imu e Tasi non potrà superare il tetto massimo dell’1,06% (altri immobili) e 0,6% (abitazioni principali, ma per il 2014 non potrà superare lo 0,25%).

TARI: si tratta della nuova tassa sui rifiuti che cancella la Tares. La Tari assomiglia molto alla Tarsu e dovrà in ogni caso coprire integralmente il costo di investimento ed esercizio del servizio di raccolta dei rifiuti (7 miliardi nel 2012), con agevolazioni simili a quelle già esistenti. L’importo è quindi a discrezione dei Comuni.

Meno crediti d’imposta per le imprese: i contribuenti che utilizzano in compensazione i crediti relativi a Irpef, Ires, Irap e imposte sostitutive per importi sopra i 15mila euro annui devono chiedere un visto di conformità. Da questa stretta il fisco incasserà almeno 460 milioni nel 2013, 2014 e 2015. Altri 301 nel 2014 sono attesi dalla riduzione all’85% di crediti e agevolazioni specifiche. 

WEB TAX: si potrà acquistare pubblicità online solo da soggetti titolari di partita IVA italiana (al momento Google e altri big come Facebook) hanno partita IVA straniera (Google ha sede in Irlanda). Ciò potrebbe comportare una diminuzione dei ricavi per chi vive con Google Adsense.

IRAP: viene soppresso dal 2015 il fondo da usare per escludere dall’Irap i contribuenti minori, la cui dotazione è stata utilizzata nel corso del 2013 da parte di diversi interventi legislativi. 

Irpef su case sfitte: viene penalizzato chi non riesce ad affittare la casa. È stata infatti reintrodotta l’Irpef sulle seconde case, che era stata assorbita dall’Imu per il 2013. Dall’anno prossimo, scatterà l’Irpef maggiorata di un terzo (ma solo sul 50% della base imponibile) per gli immobili presenti sul territorio comunale in cui il proprietario ha la residenza. Sono quindi escluse le seconde case usate per vacanza in altro Comune. 

Acquisto di immobili: cambiano totalmente le imposte di registro, ipotecarie e catastali sulle compravendite immobiliari dal 1° gennaio 2014.

Che futuro ci attende? 

sabato 28 dicembre 2013

Sono uno studente universitario e ho deciso di fittare casa a Napoli. Il proprietario vuole accollarmi le spese di registrazione dell’affitto. Può farlo? A chi spettano per legge tali spese?

Gentile studente,
il proprietario dell’appartamento non sta agendo correttamente nei suoi confronti. Infatti la legge (art. 8 della Legge 392/1978) stabilisce che, in mancanza di accordo diverso tra le parti, le spese di registrazione del contratto di locazione sono a carico del conduttore e del locatore in parti uguali. La norma è tuttora in vigore, non rientrando fra quelle che la riforma (Legge 431 del 1998) ha abrogato. 
 
Pertanto, posto che il contratto non prevede alcuna deroga alla disciplina legale, il costo della registrazione del contratto spetterà per il 50% al padrone di casa e per l’altro 50% all’inquilino.

venerdì 27 dicembre 2013

Mio figlio di 12 anni è stato picchiato a scuola da un amichetto. Di chi è la responsabilità?

Molto spesso capita che i bambini giocando tra loro arrivino a litigare e, finché tutto rimane nel contesto del litigio verbale, non c’è alcun problema. Ma se la lite sfocia in uno scontro fisico allora la cosa può diventare più seria.

Per il nostro ordinamento l’imputabilità penale, ossia la responsabilità personale per i reati commessi, scatta al quattordicesimo anno. La legge (art. 85 cod. pen.), infatti, sancisce che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se al momento in cui l’ha commesso, non era imputabile”. 

Pertanto, se un minore di 14 anni picchia un suo compagno o in modo accidentale gli causa delle lesioni (fosse anche la morte) non risponde penalmente per l’evento; ma suoi i genitori saranno tenuti al risarcimento del danno, così come previsto dal codice civile (art. 2048 c. civ.) per i fatti commessi dal figlio. 

Se il minore ha già compiuto quattordici anni, si considera un soggetto imputabile; quindi, per le sue azioni compiute risponderà egli stesso, penalmente, davanti al Tribunale per i minorenni. Anche quando il minore degli anni quattordici picchia, ferisce o addirittura causa la morte di un altro minore o di un adulto, sono sempre i genitori a dover risarcire il danno in sede civile. 

Non può esservi responsabilità penale dei genitori perché la responsabilità penale è personale.

I genitori per poter essere esonerati dall’obbligo di risarcire il danno causato dal figlio devono fornire una prova che spesso è assai difficile da raggiungere: dimostrare di aver fatto di tutto per impedire il fatto. Più in dettaglio, devono dimostrare di aver impartito ai figli un’educazione e un’istruzione consone alle proprie condizioni familiari e sociali e di aver inoltre vigilato sulla sua condotta. 

Se poi il minore ha da sempre manifestato un carattere ribelle e indisciplinato, i genitori devono dimostrare qualcosa in più: di aver fatto di tutto per garantire una maggiore vigilanza.

martedì 24 dicembre 2013

venerdì 20 dicembre 2013

Mia figlia ha 16 anni e ha deciso di abbandonare la scuola. Che responsabilità ho io come genitore essendo lei ancora minorenne? Ho l’obbligo di farla studiare? Grazie.

È a tutti noto che il “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione” dispone che i genitori sono responsabili dell’adempimento dell’obbligo di istruzione scolastica dei figli (art. 34 della Costituzione).

Dunque, fino a quando persiste in capo ai genitori il dovere di istruire i figli? Fino alla maggiore età? Fino a quando questi non abbiano concluso la scuola dell’obbligo? Fino a quando questi non abbiano trovato un posto di lavoro? 

Le risposte a tutte queste domande ci sono giunte da una recente pronuncia della Cassazione (sent. n. 42463/13 del 16.10.13) riferita al caso di una ragazza minorenne che aveva deciso, in modo autonomo, di non frequentare più la scuola superiore. A causa di tale scelta i genitori avevano subìto una condanna del Giudice di Pace proprio per aver mancato di far impartire l’istruzione alla figlia minorenne. 

La Cassazione, invece, nel decidere sulla questione, ha completamente ribaltato la pronuncia di primo grado. Secondo la Suprema Corte, l’obbligo di legge, che grava sui genitori, di impartire l’istruzione scolastica ai figli minori: a) si riferisce solo alla frequentazione della scuola elementare e della scuola media inferiore, e non anche alla frequentazione della scuola media superiore e, in ogni caso b) si interrompe quando viene conseguito il diploma o compiuto il 15° anno d’età da parte del minore, sempre che questi abbia frequentato per  almeno otto anni la scuola dell’obbligo.

giovedì 19 dicembre 2013

Mio figlio è disabile e la scuola gli ha negato l’insegnante di sostengo. Cosa posso fare?

Gentile signora, il minore affetto da handicap e disabilità grave ha diritto all’insegnante di sostegno e se tale diritto gli viene ingiustamente negato dall’istituto scolastico, i genitori possono agire per ottenere il risarcimento del danno

L’istituto scolastico e il Ministero dell’istruzione sono infatti tenuti ad erogare le misure di sostegno necessarie affinché l’alunno disabile possa beneficiare effettivamente del percorso di istruzione e dei servizi didattici. Si tratta di prestazioni accessorie al servizio scolastico, ma che si rendono indispensabili per quei bambini con handicap più o meno gravi che altrimenti non potrebbero accedere al servizio di istruzione principale. 

Ai fini della concessione dell’insegnante di sostegno è necessario che la disabilità del minore sia adeguatamente certificata. Qualora, nonostante la presenza di tutti i requisiti, la scuola neghi ingiustamente l’insegnante di sostegno o riduca le ore settimanali in cui il bambino può beneficiarne, i genitori possono agire in giudizio contro l’istituto e il Ministero per far dichiarare l’illegittimità del provvedimento di negazione o riduzione e ottenere il risarcimento del danno. 

Il danno, però, non è automaticamente riconosciuto ma deve essere adeguatamente dimostrato, consistendo esso nel pregiudizio esistenziale subito del minore. 

In particolare, i genitori devono provare che la negazione del diritto all’insegnante di sostegno ha avuto effetti negativi sulla sfera esistenziale e relazionale del bambino, pregiudicando per esempio le facoltà di apprendimento, il già precario livello di integrazione del minore con gli altri bambini della classe, o aggravando il suo senso di insicurezza e autostima.

In definitiva, quando la scuola nega ingiustamente l‘insegnante di sostegno al minore con handicap grave, i genitori possono ottenere il risarcimento se provano il danno esistenziale subito dal bambino.

mercoledì 18 dicembre 2013

Sono separato da più di tre anni e ieri, finalmente, ho ottenuto il divorzio dalla mia ex moglie. Posso risposarmi immediatamente?

Gentile lettore, per rispondere alla sua domanda è necessario precisarle che la normativa italiana in materia prevede delle particolarità. Vediamole nel dettaglio.

UOMINI
Per gli uomini è possibile sposarsi subito dopo aver ottenuto la sentenza di divorzio. È solo necessario che la sentenza predetta sia definitiva, passi dunque in giudicato, ossia divenga non più impugnabile. Ciò avviene quando: a) siano decorsi 30 giorni dalla notifica della sentenza alla controparte (60 giorni se in grado di appello); b) in caso di mancata notifica, siano trascorsi 6 mesi (con esclusione del periodo che va dal 1 agosto al 15 settembre).

DONNE
Al contrario, le donne devono attendere 300 giorni dalla pronuncia di divorzio. Si tratta del cosiddetto lutto vedovile, a meno che: a) il divorzio non sia stato pronunciato per impotenza di uno dei coniugi; b) sia inequivocabilmente escluso lo stato di gravidanza della donna; c) se risulti, con sentenza definitiva, che il marito non abbia convissuto con la moglie nei 300 giorni precedenti lo scioglimento. 

Tale divieto è stato posto per consentire di identificare, con maggiore certezza, la paternità di eventuali figli nati immediatamente dopo lo scioglimento del matrimonio. Se la donna viola tale divieto, il suo nuovo matrimonio resta ugualmente valido, ma subisce una sanzione amministrativa.

martedì 17 dicembre 2013

Il mio inquilino ha danneggiato l’appartamento di cui sono proprietario e lo ha lasciato in pessime condizioni. Cosa posso fare?

Gentile lettore,

l’inquilino che lascia l’appartamento in cattive condizioni risponde: a) dei costi sostenuti dal proprietario per far riparare l’immobile; b) del mancato incasso dei canoni di locazione che il padrone di casa avrebbe percepito nel periodo in cui ha dovuto far eseguire i lavori per rendere affittabile l’appartamento. 

Quanto innanzi detto è stato disposto da una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 27614 del 10.12.2013); nella pratica, capita spesso che, dopo che l’inquilino abbia riconsegnato l’appartamento in locazione, il proprietario si accorga di piccoli o grandi danneggiamenti alla casa posti in essere dal locatario. Così quest’ultimo deve, di solito, provvedere a ripristinare l’immobile prima di darlo di nuovo in locazione a un altro soggetto.

Ebbene, in tali casi, se per le condizioni in cui si trova l’immobile il locatore non ne ha potuto usufruire (personalmente o locandolo nuovamente), all’ex inquilino può essere chiesta, in risarcimento, una somma pari al canone di locazione che il proprietario avrebbe riscosso se la locazione fosse continuata (ma ciò fino al momento nel quale l’attività di ripristino si sarebbe potuta completare).

lunedì 16 dicembre 2013

È crollato un pezzo di intonaco da un fabbricato e mi ha distrutto l’auto. Chi deve risarcirmi i danni?

Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni causati dalla loro rovina, se non ha mantenuto l’immobile nel suo stato ottimale oppure non ha provveduto ad eliminare i difetti di costruzione (art. 2053 c. civ.). Di conseguenza, colui che ha subito lesioni dalla disgregazione di un fabbricato o dal distacco, caduta o frantumazione di una sua parte, può pretendere il risarcimento danni dal proprietario. 

La norma si applica per i danni subiti da qualsiasi tipologia di immobile, non soltanto case o palazzi, ma anche muri di cinta, reti metalliche, tabelloni, travi, insomma per ogni opera che sia ancorata al suolo, anche se in modo transitorio. 

La massima tutela al danneggiato è garantita dalla presunzione di colpa in capo al proprietario: ciò significa che il proprietario è considerato sempre responsabile, a meno che non sia lui stesso a dimostrare il contrario. Vale, insomma – almeno in questo campo – il principio dell’inversione dell’onere della prova, secondo il quale non deve essere il danneggiato a provare i fatti per i quali chiede il risarcimento, ma è il chiamato in giudizio – in questo caso il proprietario – a dimostrare l’assenza di colpa per l’accaduto. 

Diverso è il caso in cui si accerti che i danni sono stati causati da un difetto di costruzione. In tal caso il proprietario, in presenza di determinati presupposti (art. 1669 c. civ.), è tenuto comunque a risarcire il danneggiato, ma può rivalersi successivamente sull’appaltatore che, nel costruire l’opera, non ha rispettato i criteri necessari a mantenere il bene stabile e duraturo nel tempo.

sabato 14 dicembre 2013

Lo sai che ... sono iniziati i rimborsi sulle bollette dell'acqua per tutti i cittadini? Verifica anche tu se ne ha diritto.

L’autorità Garante per l’Energia Elettrica e il Gas (AEEG) ha finalmente firmato il provvedimento (Delibera 561/2013) che dispone i rimborsi per gli esuberi, pagati da tutti i cittadini, sulle bollette dell’acqua pervenute nel periodo tra il 21 luglio e il 31 dicembre del 2011. Ciò perché, in tale arco di tempo, i gestori ha richiesto delle somme che, invece, non erano più dovute per via del referendum del 2011. (referendum del Giugno 2011: risultato proclamato formalmente a partire dal 21.7.2011 con l’entrata in vigore di una legge – D.P.R. 116/2011 - che ha abrogato la norma - D.lgs.152/2006 art.154 comma 1 - che prevedeva l’addebito).
 
Quest’ultimo aveva infatti eliminato per sempre, dalle nostre bollette idriche, la voce “remunerazione del capitale investito”. Si trattava di un tributo pagato dagli utenti ai gestori idrici per finanziare gli investimenti effettuati da questi ultimi per il rinnovo delle reti (o meglio, per consentire ai gestori di pagare gli interessi passivi sui prestiti ricevuti dalle banche per gli investimenti). 

In realtà, poi, tali “remunerazioni” finivano per diventare un vero e proprio lucro a favore dei fornitori di acqua. Così è intervenuto il referendum che ha eliminato, una volta per tutte, tale voce dalle bollette. Anche la magistratura si era già espressa per l’illegittimità di questi prelievi non autorizzati. 

La cancellazione effettiva della “remunerazione del capitale investito” è avvenuta solo a gennaio 2012, ben 163 giorni dopo dall’entrata in vigore del decreto che aveva confermato i risultati del referendum. 

Ebbene, durante tali 163 giorni i gestori dei servizi idrici hanno fatto orecchie da mercanti, continuando ad esigere il pagamento di tale balzello, benché fosse stato già eliminato: e lo hanno fatto, appunto, dal 21 luglio al 31 dicembre del 2011. 

Dunque, proprio per tale periodo, il Garante ha disposto il rimborso in favore degli utenti, rimborsi che variano a seconda del gestore (perché sono stati ritenuti non rimborsabili i costi effettivamente sostenuti dal gestore per gli investimenti). 

Dalla prossima bolletta utile, dovrebbero partire quindi tali restituzioni. Alcuni gestori lo faranno immediatamente; altri invece hanno 30 giorni di tempo per mettersi in regola. 

Se la regolarizzazione non avverrà spontaneamente da parte dei gestori, i rimborsi dovranno partire comunque, ma saranno calcolati con un metodo forfettario e più a favore al cittadino.
 

venerdì 13 dicembre 2013

Ho acquistato uno smartphone e dopo pochi mesi dall’acquisto ho riscontrato un difetto. Il negoziante mi ha detto che sono necessari 90 giorni per la riparazione in garanzia. Posso chiedere, in alternativa, l’immediata sostituzione?

Gentile lettore,

in caso di difetto del prodotto acquistato, il consumatore – come lei ben saprà –  ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione, oppure sostituzione

La scelta tra l’una o l’altra strada spetta all’acquirente: egli quindi può quindi chiedere al venditore di riparare il bene o sostituirlo, senza spese in entrambi i casi, salvo che il rimedio richiesto sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto all’altro. In alternativa, il consumatore ha diritto ad una riduzione adeguata del prezzo, o alla risoluzione del contratto.

La normativa prevede che le riparazioni o le sostituzioni siano effettuate entro un congruo termine dalla richiesta e non devono arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha acquistato il bene. 

Pertanto, se il venditore effettuerà la riparazione entro un termine ritenuto dall’acquirente troppo lungo per le proprie esigenze, quest’ultimo ha diritto a richiedere la sostituzione del bene stesso.

mercoledì 11 dicembre 2013

Cambiale protestata: posso chiedere la cancellazione dal registro dei protesti ora che ho pagato?

Il mancato pagamento di una cambiale o di un assegno può comportare la cosiddetta levata di protesto. Il protesto è un atto redatto da un notaio, ufficiale giudiziario o da un segretario comunale, nel quale viene formalizzato il mancato pagamento del titolo di credito. 

Il debitore “protestato” viene iscritto nel Registro informatico dei protesti, che contiene tutti i nominativi di coloro che hanno subito la levata del protesto e che sono debitori inadempienti di determinate somme di denaro. 

Il Registro, consultabile presso le Camere di Commercio, assolve ad una funzione di informazione e trasparenza nei rapporti commerciali: il creditore interessato può, infatti, consultarlo per verificare l’affidabilità economica del soggetto con il quale sta per concludere un affare e tutelarsi così in tempo da futuri eventuali inadempimenti. 

Il debitore inadempiente non può sottrarsi all’ iscrizione del proprio nominativo e dei propri dati personali nel Registro dei protesti; tra i casi nei quali egli può però chiederne la cancellazione, rientra proprio quello dell’avvenuto pagamento del titolo cambiario.

Come richiedere la cancellazione per avvenuto pagamento

Il debitore può chiedere la cancellazione dal registro dei protesti qualora abbia provveduto al pagamento del titolo (comprensivo di interessi e spese) entro dodici mesi dalla levata del protesto. Tale possibilità è concessa solo in caso di cambiali e vaglia cambiari protestati, non anche in caso di assegni (per questi è possibile chiedere la riabilitazione al Presidente del Tribunale ai sensi della Legge Antiusura). 

Per ottenere la cancellazione è necessario presentare istanza al Presidente della Camera di Commercio competente (cioè quella della provincia nella quale è stato levato il protesto) mediante un apposito modulo messo a disposizione dall’Ufficio Protesti. Alla domanda devono essere allegati il titolo in originale e la quietanza del pagamento che deve indicare sia l’importo originale del debito che gli interessi e le spese. 

Se il pagamento avviene oltre i dodici mesi dalla levata del protesto, l’istante non ha diritto alla cancellazione dal registro bensì all’annotazione, accanto al suo nominativo, di “avvenuto tardivo pagamento”. Egli dovrà presentare istanza al Presidente della Camera di Commercio su apposito modello, allegando i titoli protestati e la quietanza liberatoria rilasciata dal creditore.

martedì 10 dicembre 2013

Ho acquistato un biglietto aereo Ryanair, ma ho dimenticato di fare il check-in online. Sono stato costretto a pagare un surplus di € 40 in aeroporto. È legittimo tale comportamento da parte della compagnia aerea?

In caso di acquisto del biglietto aereo tramite internet, è illegittima la pretesa di Ryanair di far pagare un surplus, ai passeggeri che non abbiano fatto il check-in online, per la stampa della carta di imbarco ad opera del personale di volo. 

La questione è stata trattata recentemente dal Tribunale di Madrid (sent. n. 113/2013); una decisione che potrà avere certamente effetti, anche a breve, nel nostro Stato.

Come a tutti noto, la compagnia aerea low cost irlandese consiglia vivamente agli acquirenti dei propri biglietti aereo di effettuare il check-in del volo attraverso il proprio sito internet, con contestuale stampa del biglietto di imbarco a propria cura. 

Chi non effettua tale procedura, è costretto poi a farsi stampare il biglietto al momento dell’imbarco dal personale di volo.

Ebbene, secondo il tribunale di Madrid questa pratica è illegittima perché “abusiva”: in altre parole, lede in modo eccessivamente sproporzionato i diritti dei consumatori. E ciò anche se è espressamente previsto nel contratto approvato dall’utente all’atto dell’acquisto del biglietto. 

Insomma, la clausola è nulla in ogni caso e le 40 euro, che attualmente pretende la Ryanair sono una pretesa illegittima. 

La sentenza del Tribunale di Madrid, peraltro, ha rilevato ben altre otto clausole abusive applicate dalla compagnia aerea irlandese.

lunedì 9 dicembre 2013

Ho acquistato un appartamento sulla carta da un costruttore. Avrebbe dovuto consegnarmelo il 15 settembre 2013, ma ad oggi non è stato ancora ultimato. Posso chiedere il risarcimento dei danni?

Spesso capita che i tempi di consegna di una casa, acquistata “sulla carta”, non vengano poi rispettati dal costruttore. In genere quest’ultimo, però, è sempre abbastanza avveduto da non indicare, nel contratto preliminare, termini perentori per l’ultimazione dei lavori o, comunque, predispone clausole che gli consentano ampie scappatoie. 
 
 
Tuttavia, la Cassazione, con una recente sentenza (sent. n. 4352/2013) ha voluto tendere una mano alle parti acquirenti, stabilendo che, nel caso di ritardata consegna di un immobile oggetto di compravendita, il venditore è tenuto a corrispondere un risarcimento pari in base al valore di locazione del bene: cioè, in pratica, egli deve versare una somma pari a quelle che l’acquirente avrebbe potuto intascare dando in affitto, ad altre persone, l’appartamento.
 
C’è da dire che, nel caso di specie deciso dalla Corte, il compratore era un imprenditore che aveva interessi nel campo immobiliare per uso investimento. In questo caso, la Cassazione ha escluso l’uso di generici sistemi di risarcimento su base “equitativa”, ma li ha ancorati a valori specifici di mercato, argomentando che la mancata acquisizione dell’immobile determina, per l’imprenditore, l’impossibilità di conseguire quegli utili dal normale utilizzo fruttifero del bene.
 
La questione potrebbe essere parzialmente diversa per i privati, i quali dovrebbero riuscire a dar prova di avere subìto un effettivo danno economico. Così, per esempio, non ci sarebbero problemi laddove la parte riesca a dimostrare che l’immobile era stato acquistato per uso investimento (perché, per esempio, esso è vicino ad un ateneo e, nello stesso tempo, l’acquirente già disponeva di una dimora di proprietà).
 
Negli altri casi, invece, la prova potrebbe essere più difficoltosa e, quantomeno, sarebbe necessario dimostrare le spese sostenute per occupare, nel frattempo, un immobile a titolo provvisorio.

sabato 7 dicembre 2013

Sono stato multato poiché parlavo al cellulare mentre ero fermo allo “Stop”. La multa è legittima?

Caro lettore,
Purtroppo si, la multa è legittima. Infatti, rientra nel novero della circolazione stradale anche il momento in cui il veicolo è fermo allo Stop: a confermare la circostanza basta l’indicazione dell’agente sul verbale (violazione dell’articolo 173, commi 2 e 3 bis del C.d.S., per aver circolato alla guida del proprio veicolo impugnando un cellulare). 

È irrilevante che l’automobilista, nel momento in cui viene elevata la sanzione perché trovato a utilizzare il telefonino, non sia in movimento, ma sia invece fermo allo stop: tale circostanza, infatti, non fa venir meno la violazione. Infatti, nel concetto di “circolazione stradale”(all’atto della quale scatta la multa) deve intendersi non solo il movimento, ma anche la fermata e la sosta dei pedoni, dei veicoli e degli animali sulla strada. Pertanto, in parole povere, basterebbe anche solo essere temporaneamente fermi, avere il motore acceso ed essere in procinto di ripartire per beccarsi una multa (ciò è stato recentemente sancito dal Tribunale di Campobasso, con sent. n. 415 del 25.09.2013. 

Inoltre, nella sentenza, si fa il punto sulla validità e il peso che hanno le dichiarazioni dell’agente. Perché la multa sia valida il pubblico ufficiale è tenuto solo a dare conto della sua presenza durante i fatti attestati nel verbale, nonché delle ragioni per le quali tale presenza ha consentito l’accertamento dell’infrazione (per esempio, la posizione, il luogo in cui questi si trovava, ecc.). 

Il conducente che vuole contestare tali attestazioni deve non solo limitarsi a contestarle o a provare il contrario con testimoni, ma deve aprire una particolare procedura aggravata (detta “querela di falso”). Ciò in quanto le dichiarazioni del pubblico ufficiale sono assistite da una fede privilegiata (cioè hanno un valore superiore rispetto ai fatti dichiarati da un qualsiasi altro soggetto privato).

mercoledì 4 dicembre 2013

Coma hanno fatto a truccare il mio Bancomat? Vediamo quali sono le tecniche maggiormente utilizzate dai truffatori e i consigli per difendersi

Il bancomat è uno strumento che si presta a facili alterazioni e truffe. Tra le tecniche maggiormente utilizzate dai truffatori rientrano lo “skimming” ed il “card trapping”. Vediamoli nel dettaglio
 
Lo Skimming
Una delle tecniche più utilizzate dai criminali è lo Skimming, che consiste nell’applicare allo sportello del bancomat una finta fessura (detta appunto Skimmer), capace di leggere la banda magnetica della tessera del cliente e copiarne i dati. Così clonati, i codici della tessera vengono inviati tramite blutooth ai truffatori (di solito collocati nelle vicinanze) oppure memorizzati all’interno di una memoria interna.
Nel frattempo, una telecamera nascosta - solitamente posizionata sopra la tastiera oppure accanto alla luce che illumina il bancomat – riesce a filmare il codice Pin digitato dal correntista sul tastierino.
Con i dati acquisiti si può clonare facilmente il bancomat ed è possibile poi prelevare denaro all’insaputa del malcapitato.
Come difendersi dallo Skimming?
Per scongiurare la truffa dello Skimming, è consigliabile coprire con una mano la digitazione del codice Pin, in modo da mettersi al sicuro da eventuali telecamere nascoste. In secondo luogo, è utile controllare se la fessura dove si inserisce la tessera Bancomat è ben fissa. Un ulteriore controllo va effettuato anche alla tastiera: se non è ben fissata potrebbe essere fasulla. Infatti, quando i truffatori non utilizzano l’escamotage della telecamera nascosta, catturano il codice Pin sovrapponendo una loro tastiera a quella originale onde registrare i dati premuti. 
 
Il card trapping
Una seconda tecnica usata dai truffatori è il card trapping. In questo caso, la manomissione dello sportello è diretta a rubare l’originale  carta e il codice Pin.
I truffatori fanno in modo che la tessera del malcapitato resti incastrata nella fessura del bancomat Bancomat, grazie all’installazione di un apposito supporto montato all’interno. A questo punto, mentre la vittima sta tentando di risolvere da sola il problema, si fa avanti lo stesso truffatore, o uno dei complici, che si offre di aiutarla. Gli consiglia, quindi, di digitare di nuovo il Pin (in questo modo, spiandolo, entrerà in possesso del codice segreto).
 
Il correntista, nel tentativo di risolvere il problema, normalmente si allontana per recarsi all’interno della filiale (se la banca non è aperta lo farà il giorno seguente).
A quel punto il truffatore recupera facilmente la carta dalla fessura e, conoscendo il codice Pin memorizzato in precedenza, preleva il contante dal conto del malcapitato.
 
Come difendersi dal card trapping?
Innanzitutto, nel momento in cui la carta rimane incastrata all’interno della fessura è buona norma denunciare subito l’accaduto alla propria banca, senza allontanarsi dalla sportello e chiamando, dal cellulare, il servizio di assistenza. È sempre preferibile utilizzare sportelli Bancomat situati all’interno delle banche oppure chiusi in apposti chioschi, così da essere al riparo da qualsiasi malintenzionato. Nel caso in cui lo sportello sia su strada, è bene controllare la zona circostante, diffidando delle persone che tendono ad avvicinarsi troppo. Bisogna sempre rifiutare l’aiuto offerto da terzi in caso di malfunzionamento dello sportello. Anche in questo caso, la digitazione del Pin deve avvenire di nascosto, avendo cura di non farsi vedere o spiare da altri.