Il blog di Claudio De Lucia

INFORMAZIONE SINTETICA ED ESSENZIALE SUL MONDO DELLE LEGGI E DELLA GIURISPRUDENZA

IL SIGINIFICATO DEI TERMINI LEGALI PIU' USATI IN TELEVISIONE E SULLA STAMPA

COME DIFENDERSI DAI PICCOLI SOPRUSI QUOTIDIANI

COME AGIRE EFFICACEMENTE NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E DELLE GRANDI IMPRESE

QUALI SONO I DIRITTI DEI CITTADINI, QUALI LE PIU' RECENTI SENTENZE DELLA CASSAZIONE E COME AGISCONO SULLA VITA DI TUTTI I GIORNI

lunedì 10 novembre 2014

Dopo l’annullamento del matrimonio il mantenimento all’ex moglie non è più dovuto?

Gentile lettore, occorre preliminarmente ricordare che se si è ottenuto il cosiddetto “annullamento” del matrimonio dalla Sacra Rota, è necessario che la sentenza ecclesiastica di nullità sia riconosciuta anche dallo Stato civile: a tale scopo occorre promuovere il procedimento di delibazione presso la competente Corte d’Appello.

Da ciò discendono effetti patrimoniali importanti, quali il venir meno degli obblighi di mantenimento verso l’altro coniuge e il diritto a percepire la pensione di reversibilità di quest’ultimo; e questo in quanto la dichiarazione di nullità crea una situazione giuridica per la quale è come se il matrimonio non fosse mai stato celebrato, cosicché vengono meno anche i doveri da esso derivanti in caso di separazione e/o divorzio (come appunto quello al mantenimento).

A tale regola fanno eccezione però alcune ipotesi; un esempio è rappresentato dal caso in cui vi sia stata la buona fede di entrambi i coniugi nel momento in cui si sono sposati. In tale ipotesi, infatti, il Tribunale potrà stabilire che uno di essi versi all’altro un assegno periodico, se questi non dispone di mezzi sufficienti al proprio mantenimento. Un’altra ipotesi è rappresentata dalla circostanza in cui il responsabile di una delle cause di nullità ha agito in mala fede; in tale caso egli dovrà versare un’indennità all’altro, anche qualora non sia stato provato che quest’ultimo ha sofferto un danno. Tale indennità non dovrà essere inferiore ad una somma che possa permettere il mantenimento del beneficiario per 3 anni.

Qualora, però, l’ex si trovi in stato di bisogno e non abbia altro congiunto in grado di provvedere alle sue necessità primarie, il coniuge in mala fede dovrà versargli gli alimenti per un tempo illimitato.

E se dal matrimonio sono nati dei figli?
In tal caso, la situazione cambia radicalmente: in caso di annullamento del matrimoni, ai figli va garantita piena tutela, al pari dei figli nati fuori dal matrimonio. Essi, anche in caso di matrimonio poi dichiarato nullo, sono totalmente parificati alla prole nata in costanza di matrimonio, con la conseguenza che rimane in piedi l’obbligo per ciascun genitore di contribuire al loro mantenimento. Il giudice potrà, pertanto, stabilire la misura dell’assegno che un genitore deve versare a quello che convive con la prole.

martedì 21 ottobre 2014

Contratto di locazione: è valida la clausola che ammette il rilascio anticipato prima della scadenza?

Gentile lettore, l’art. 13, co. 3, della Legge 431/98 stabilisce al riguardo che è nulla ogni pattuizione volta a derogare ai limiti di durata del contratto stabiliti dalla presente legge.

La predetta legge disciplina due tipologie di contratti della durata, rispettivamente, di quattro anni rinnovabili per altri quattro (4+4), salvo le ipotesi di recesso del locatore previste dalla legge stessa; e di tre anni prorogabili di altri due (3+2).

Per quanto attiene alle locazione ad uso diverso da quello abitativo, è nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto (art. 79 L. 392/78).

Dalle citate disposizioni legislative emerge, pertanto, che una clausola che consenta il recesso anticipato del locatore sia nulla in quanto contrastante con norma imperativa: conseguentemente, in caso di richiesta di rilascio anticipato, il conduttore potrà eccepire tale nullità e proseguire nella locazione fino alla scadenza contrattuale.

lunedì 6 ottobre 2014

È vero che dal 1° gennaio troverò una parte del TFR in ogni busta paga?

Gentile lettore,
pare proprio che il Governo si sia prefissato l’obiettivo di riformare il Trattamento di Fine Rapporto, la “liquidazione” accordata ai lavoratori dipendenti all’uscita definitiva dall’azienda.

Lo scopo è quello di mettere moneta in circolazione e rilanciare i consumi. Lo stesso Presidente del Consiglio ha confermato che, dal 1° gennaio 2015, ogni lavoratore dipendente riceverà in busta paga il 50% del TFR maturato di volta in volta. Il residuo 50% resterà in azienda e sarà liquidato alla cessazione del rapporto di lavoro, secondo le regole applicate sino ad oggi.

Ma l’Esecutivo tiene a far sapere che questa misura potrà scattare solo a patto che si creino le condizioni per garantire alle imprese, “soprattutto sotto i dieci dipendenti”, di non perdere minimamente liquidità. Non è, infatti, un mistero che molte imprese si sono autofinanziate proprio grazie al TFR accantonato, evitando così di dover ricorrere all’usura delle banche.

L’operazione può decollare “utilizzando la leva Bce” in termini di accesso agevolato al credito per le imprese. Il tutto dovrebbe essere vincolato al dispositivo delle garanzie pubbliche fornite esplicitamente dal Governo, rafforzando quelle già previste indirettamente con il Fondo Inps, e con il possibile coinvolgimento della CdP.

Il flusso annuale delle liquidazioni supera di poco i 22-23 miliardi: 5,5 dei quali vengono indirizzati dai lavoratori ai fondi pensione, altri 6 confluiscono nel fondo di tesoreria dell’Inps e circa 11 miliardi restano in azienda. In quest’ultimo caso a rimanere nelle disponibilità del datore di lavoro è soprattutto il Tfr degli occupati in aziende con meno di 50 addetti perché per quelle più grandi la liquidazione, se non viene convogliata sulla previdenza integrativa, finisce nel fondo Inps. Di qui l’allarme soprattutto delle imprese meno grandi. Ma il Governo è convinto che non ci siano rischi e continua ad affinare questa ipotesi d’intervento anche sulla base dei suggerimenti arrivati sul tema in primavera da leader della Fiom, Maurizio Landini, ancora prima (nel 2011), da esponenti provenienti dal mondo della Cgil come l’ex segretario Sergio Cofferati e Stefano Patriarca.

L’operazione scatterebbe solo per quei lavoratori che prestano il loro consenso e potrebbe essere a tempo: dal minimo di un anno a un massimo di tre anni. Ma su questo punto potrebbe esserci un ripensamento.

Oltre al nodo della liquidità da garantire alle imprese restano da sciogliere quello delle ulteriori compensazioni per le aziende, del regime fiscale cui sottoporre la liquidazione inserita direttamente in busta paga, e soprattutto la fetta di Tfr da smobilizzare per provare a rilanciare i consumi. Su quest’ultimo fronte tre sono attualmente le opzioni sul tappeto: destinazione del 50%, o del 75%, del Tfr maturando nello stipendio lasciandone l’altra metà a disposizione delle imprese; dirottamento di tutta liquidazione maturata a partire dal 2015 sullo stipendio.

L’operazione in prima battuta interesserebbe solo i lavoratori del settore privato. E alle imprese dovrebbe essere garantito quanto meno lo stesso meccanismo fiscale agevolato previsto attualmente nei casi di destinazione del Tfr ai fondi pensione. Resta da capire come l’intervento potrà essere esteso gli “statali” per i quali la liquidazione è di fatto figurativa.

Sempre sul terreno fiscale si presenta l’altro grande ostacolo da superare. Renzi ha esplicitamente fatto riferimento a un’erogazione mensile del Tfr in busta paga. In questo caso le liquidazione verrebbe sottoposta a un prelievo fiscale maggiore rispetto alla “tassazione sperata” che è attualmente prevista. Non è da escludere, quindi, che si possa ricorrere a uno smobilizzo in un’unica soluzione annuale, una sorta di quattordicesima.

martedì 9 settembre 2014

È possibile sospendere le utenze al solo condòmino che non versa le spese condominiali?

Gentile lettore,
chi non paga le rate mensili al condominio e fa mancare liquidità all’amministrazione, oltre a vedersi addebitati i costi delle more per il ritardo, rischia anche di subire il taglio dei servizi comuni (luce, gas, pulizie, ecc.).

Poiché i fornitori, gli artigiani ed i professionisti concludono i contratti con l’intero condominio (e non con i singoli proprietari), è proprio quest’ultimo, in linea di principio, che risponde di eventuali debiti. E così la legge, allo scopo di spingere tutti i condomini a un pagamento puntuale, consente all’amministratore di sospendere i servizi comuni ai condomini morosi.

Cosa può fare l’amministratore nel caso in cui un condomino non versi le spese condominiali?

1. può agire nei suoi riguardi in tribunale per ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, senza bisogno di una previa autorizzazione dell’assemblea,;

2. se il mancato pagamento si è protratto per almeno sei mesi, può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, quelli cioè la cui “interruzione” nei confronti di un condomino non comporta l’interruzione del servizio anche per gli altri condomini.

Quest’ultima possibilità è stata di recente confermata da una recente ordinanza del Tribunale di Roma del 27.6.2014, nonché da una ordinanza del Tribunale di Brescia del 21.5.2014. Il giudice ha precisato che, a causa della permanente morosità, può essere disattivata l’utenza del condomino, ma – si intuisce nel testo del provvedimento – sempre che non venga provata l’impossibilità o la grave difficoltà di pagamento. In quest’ultima ipotesi, allora, rientrerebbe la necessità di tutelare il diritto alla salute del condomino che non potrebbe, altrimenti, vivere senza le utenze.

Altri giudici propendono per una interpretazione più favorevole agli inadempienti, per i quali il diritto del condominio che, con la sospensione del servizio, si intende tutelare, è puramente economico e, dunque, sempre riparabile, mentre, al contrario, per i fruitori del servizio la sospensione dell’erogazione dell’acqua o del riscaldamento, considerati servizi essenziali, contrasterebbe con il diritto alla salute previsto dalla nostra Costituzione all’art. 32.

Ricordiamo comunque che, in base alla recente riforma, in caso di morosità del condominio nel pagamento dei propri fornitori, i creditori possono agire nei confronti dei proprietari in regola con i pagamenti dei canoni solo dopo aver prima aggredito (con pignoramento) i condòmini invece che sono morosi con le bollette: l’elenco di questi ultimi deve essere fornito ai creditori dall’amministratore.

Dunque, stando così le cose, anche i singoli condomini onesti, cioè quelli che saldano regolarmente i conti, possono essere presi di mira in caso di spese comuni non saldate: ma solo dopo che i creditori si sono rivolti, in prima battuta, nei confronti dei morosi. Però, se poi non ottengono nulla, possono rivalersi sull’intero condominio o, peggio ancora, contro uno qualsiasi dei proprietari.

In questi casi, scatta infatti il cosiddetto principio di “responsabilità solidale”, per il quale ciascuno dei proprietari può essere costretto a pagare quanto dovuto dall’intero palazzo.


Starà poi al proprietario preso di mira, una volta saldato forzatamente il debito, rivalersi contro alcuni o tutti i vicini di casa.

martedì 2 settembre 2014

Lavori in casa? Non serve più nessun permesso. Adesso è sufficiente una semplice comunicazione al Comune.

Il Governo ha approvato il decreto legge c.d. Sblocca Italia dove vengono previste interessanti novità per chi intende eseguire lavori e/o ristrutturazioni in casa. La norma più importante è a costo zero, con la semplice comunicazione al Comune, al posto dell’autorizzazione, per chi decide di ristrutturare casa. Infatti, per le “ristrutturazioni in casa propria non sarà più necessaria una autorizzazione edilizia ma con una semplice comunicazione al Comune. Grazie ad essa il cittadino potrà immediatamente fare tutti i lavori che vuole in casa propria. Un vero e proprio diritto che nessuno potrà toccargli.

Il ministro dell’Infrastrutture Maurizio Lupi ha così annunciato quella che definisce una libertà – pur nel rispetto delle norme e della legge – da adempimenti burocratici che fanno solo allontanare nel tempo quella che è una necessità per il cittadino.

Le agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni resteranno in vigore fino al 31 dicembre del 2014.

lunedì 25 agosto 2014

23 agosto 2014: violenza negli stadi, introdotto il DASPO di gruppo. Aggravate le pene per gli ultrà. La nuova misura dopo la morte di Ciro Esposito.

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 194 del 22 agosto 2014 il decreto legge n. 119/14 che reca disposizioni urgenti in materia di contrasto a fenomeni di illegalità e violenza in occasione di manifestazioni sportive, di riconoscimento della protezione internazionale, nonché per assicurare la funzionalità del ministero dell’Interno.

Il provvedimento, in vigore da ieri, introduce il Daspo di gruppo; la durata minima del Daspo per i recidivi viene portata a cinque anni e quella massima a otto.

Il decreto legge, infine, inasprisce le pene anche per chi offre o promette denaro, o altra utilità o vantaggio, a uno o più partecipanti a una competizione sportiva.

La nuova misura è stata voluta a seguito della morte del tifoso Ciro Esposito, vicino all’Olimpico, nello scorso mese di giugno.

Il DASPO, le modifiche: si amplia l’elenco dei reati che rendono possibile l’applicazione della misura di restrizione. Più che la durata, però, sta nell’estensione della platea dei soggetti coinvolti: il DASPO potrà colpire non solo l’autore diretto delle violenze ma anche coloro che lo sostengono, lo incitano, lo proteggono, gli sono vicino, gli consentono in sostanza di realizzare l’incursione criminale.

giovedì 7 agosto 2014

Posso avere due piante di cannabis sul terrazzo?

Gentile lettore,
una recente giurisprudenza (Cass. sent. n. 33835 del 30.07.2014) ha scagionato un giovane cui era stata trovata una mini serra di marijuana sul terrazzo di casa. La Suprema Corte ha affermato che se il principio attivo risulta modesto, nonostante se ne possano ricavare quasi 200 dosi singole, non vi è alcun pericolo per la collettività. Dunque, “manca l’offensività della condotta”.

Non rileva se la polizia si presenta in casa e trova tutta l’attrezzatura per la coltivazione, dall’impianto di riscaldamento all’irrigazione: se le piante sono poche e il principio attivo è modesto, si può desumere la concreta insussistenza della pericolosità della condotta, con conseguente impossibilità di assoggettare quest’ultima a una sanzione penale.

In questi casi, la quantità di sostanza stupefacente utile per l’eventuale commercio ed il numero ridotto di piante non costituiscono un reale pericolo per la collettività.

martedì 29 luglio 2014

Vengo continuamente offeso pubblicamente su Facebook. Cosa posso fare?

Gentili lettori,
State molto attenti a quello che pubblicate su Facebook; nel caso in cui i vostri post siano offensivi, rischiate una condanna per diffamazione.

Una sentenza del Tribunale di Livorno (sent. n. 38912 del 31.12.2012) ha condannato una ex dipendente di un centro estetico presso il quale lavorava. La donna ha dovuto risarcire anche i danni morali al titolare del centro.

Sulla base del principio secondo cui gli utenti dei social network sono ben consapevoli del fatto che altre persone possano prendere visione delle informazioni scambiate via web, il richiamato Tribunale ha ritenuto che l’offesa online sia equiparabile ad un reato di diffamazione a mezzo stampa, cioè come se fosse stata pubblicata su di una testata giornalistica.

Quando scatta il reato? 1. Quando il destinatario delle frasi ingiuriose (colui che viene offeso) è chiaramente individuabile; 2. Il post e/o la comunicazione ha carattere pubblico; 3. La chiara e manifesta volontà di offendere la persona.
Oltre alla condanna per diffamazione, il giudice può ritenere che debba essere risarcito anche il danno morale arrecato.

Cosa prevede la Legge? I giudici sono oramai concordi nel ritenere che l’offesa alla reputazione altrui, utilizzando Facebook, rientri nei casi di diffamazione a mezzo stampa; questo a causa del suo carattere tendenzialmente pubblico.

Come tutelarsi? Il modo migliore sarebbe quello di farsi autenticare da un notaio la pagina stampata con il commento offensivo, oppure, si potrebbe stampare la pagina contenente l’offesa (anche se quest’ultima è maggiormente contestabile). In ultima istanza, ci sono sempre i testimoni: coloro che hanno letto la frase ingiuriosa pubblicata su Facebook potranno sempre testimoniare a vostro favore in un eventuale processo.

mercoledì 16 luglio 2014

Non hai i soldi per pagare l’affitto? Non preoccuparti, “qualcuno” lo pagherà al posto tuo

È stato da pochi giorni pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (n. 161 del 14 luglio 2014) il decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che attua l’istituto della morosità incolpevole, istituto previsto da una legge del 2013. 

Nel dettaglio, in presenza di sei condizioni precise, stabilite dalla legge, il conduttore può chiedere l’intervento di un fondo statale gestito dai Comuni per poter adempiere ai propri impegni contrattuali con il proprietario di casa.

Quali sono questi casi? 1. licenziamento; 2. accordi aziendali o sindacali con consistente riduzione dell’orario di lavoro; 3. cassa integrazione (ordinaria o straordinaria) che comporti una notevole riduzione del reddito; 4. mancato rinnovo di contratti a termine o di lavoro atipici; 5. cessazione di attività libero-professionali o di imprese registrate, per causa di forza maggiore o perdita di avviamento in misura consistente; 6. malattia graveinfortunio decesso di un componente del nucleo familiare che abbia comportato o la riduzione del reddito complessivo del nucleo medesimo o la necessità dell’impiego di parte notevole del reddito per fronteggiare rilevanti spese mediche e assistenziali.

Pertanto, con il termine “morosità incolpevole la legge intende quella condizione di impossibilità sopravvenuta a pagare il canone di locazione, causata da una perdita o da una riduzione consistente della capacità reddituale del nucleo familiare.

Il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli  per il 2014 avrà una disponibilità di 20 milioni di euro da ripartire, in proporzione al numero di provvedimenti di sfratto per morosità emessi, registrato dal Ministero degli interni al 31 dicembre 2012, per il 30% tra le regioni Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Campania e per il restante 70% tra tutte le regioni e le province autonome.

Quanto alla priorità nell’assegnazione dei benefici, saranno preferiti: 1. gli inquilini nei cui confronti sia stato emesso provvedimento di rilascio esecutivo per morosità incolpevole, che sottoscrivano con il proprietario dell’alloggio un nuovo contratto a canone concordato; 2. gli inquilini la cui ridotta capacità economica non consenta il versamento di un deposito cauzionale per stipulare un nuovo contratto di locazione; 3. gli inquilini, ai fini del ristoro, anche parziale, del proprietario dell’alloggio, che dimostrino la disponibilità di quest’ultimo a consentire il differimento dell’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile.

Il contributo non potrà superare in ogni caso la somma di 8.000 euro.

martedì 8 luglio 2014

Ho affittato un garage in un condominio. Sono tenuto a pagare anche le spese di amministrazione condominiale?

Gentile lettore,
nel caso in cui ha acquistato il diritto d’uso su un’area condominiale per parcheggiare la sua auto, è tenuto a pagare, al relativo proprietario, solo il canone mensile, ma non anche le spese di amministrazione condominiale. Questo è quanto stabilito in una recentissima sentenza della Corte di Cassazione. (v. Cass. Civ. n. 15482/14)

Secondo la Corte, il canone d’uso per un parcheggio è del tutto identico, nel regime, a quello della locazione nella cui ipotesi è, di norma, il proprietario dell’immobile a doversi far carico delle spese dell’amministrazione, come quelle condominiali per la contabilità e per il fondo di riserva che costituisce un accantonamento per eventuali future spese condominiali. Altrettanto vale per il compenso all’amministratore.

In definitiva, il proprietario del garage utilizzato come parcheggio dai residenti nell’edificio non può porre a carico del condomino affittuario anche le relative spese di amministrazione condominiale.

lunedì 30 giugno 2014

Ho uno studio in casa e la RAI continua a chiedermi il pagamento del canone pur possedendo solo pc, smartphone e tablet in ufficio. Ho già pagato il canone ordinario per la mia abitazione. Cosa posso fare?

La RAI continua a chiedermi il pagamento del canone pur possedendo solo pc, smartphone e tablet in ufficio. Cosa posso fare?

Caro lettore,
già del 2012 la RAI aveva iniziato a inviare, a tutti i contribuenti, una comunicazione in cui li invitava a pagare il canone non solo per la detenzione di televisioni, ma anche per PCtabletsmartphone o per qualsiasi altro dispositivo connesso a internet.

Ancora oggi, difatti, diverse imprese professionisti stanno ricevendo la medesima  illegittima  pretesa da parte della RAI. Insomma, quella che prima era una richiesta rivolta solo alle famiglie, ora viene estesa anche ai titolari di Partita Iva.

Circa due anni fa il Governo era già intervenuto a chiarire la vicenda e a specificare che il canone non è dovuto su ogni hardware connesso a internet, bensì solo per gli apparecchi atti a ricevere il segnale digitale (es. apparecchi TV con decoder digitale).

Secondo la cattiva “interpretazione” della Legge del 1938, quei professionisti e ditte il cui domicilio o sede coincide con la residenza vengono costrette a pagare, per il televisore presente nel salotto,  ben due volte il canone: una prima per uso privato (quello, cioè, ordinario) e una seconda per uso speciale (quello cioè legato alla partita Iva). E ciò anche se la TV in soggiorno è utilizzata unicamente per scopi familiari.

L’unico modo per evitare una doppia – e iniqua – tassazione è dimostrare che l’abitazione e l’ufficio sono funzionalmente e strutturalmente separati.

martedì 24 giugno 2014

La legge italiana permette l’adozione solo alle coppie sposate?

Gentile lettore,
Assolutamente no. Esistono dei casi in cui l’adozione è consentita anche a coppie non coniugate e a single. Si tratta dell’adozione in casi particolari e dell’adozione di maggiorenni. Vediamole nel dettaglio:

1. L’adozione in casi particolari è prevista per quelle situazioni in cui non vi siano i presupposti per l’adozione piena – cosiddetta legittimante –, come lo stato di abbandono di un minore; essa è consentita anche ai single. Può essere disposta, ad esempio, quando un soggetto abbia un rapporto affettivo significativo con un minore orfano di entrambi i genitori.


2. L’adozione dei maggiorenni intende tutelare in via prioritaria l’interesse dell’adottante il quale, non avendo una propria discendenza, vuole tramandare il proprio cognome e patrimonio a un figlioessa è consentita al single o, in modo autonomo, al coniugato (perché, in tal caso, l’altro coniuge non è obbligato ad adottare a sua volta).

martedì 17 giugno 2014

Studentessa bocciata a scuola. Quando è possibile impugnare la bocciatura dinnanzi ad un Giudice?

Quando è possibile impugnare, davanti a un giudice, una bocciatura? La risposta alla domanda ci viene fornita dalla sentenza n. 3468/14 pubblicata dal Tar Lazio.

La mancata ammissione dello studente all’anno scolastico successivo, affermano i giudici, costituisce espressione di un potere di natura tecnico-discrezionale del consiglio di classe, che può essere “contestato” davanti al giudice solo se affetto da macroscopici vizi logici.

Dunque, cosa si intende per “macroscopici vizi logici”? 1. Disparità di trattamento: ad esempio, due alunni che hanno riportato gli stessi voti sia negli scritti che negli orali e per i quali sono stati riservati due trattamenti diversi in merito alla promozione; 2. Errore manifesto: ad esempio, non si è tenuto conto della media superiore alla sufficienza riportata in tutte le materie, oppure, se il risultato di un compito, su cui si è poi fondato il giudizio finale, è da considerarsi corretto; 3. Contraddittorietà rilevabile a vista d’occhio.

Secondo il dettato della richiamata sentenza, dunque, è facile comprendere che l’indirizzo fornito dal TAR del Lazio non lascia spazio a molte possibilità di impugnazione. Il giudizio del collegio di scuola resta, in gran parte, incontestabile nelle valutazioni.

E se la famiglia è stata lasciata all’oscuro di tutto? Non costituisce un “vizio” della bocciatura – come tale impugnabile – il fatto che l’insegnante non abbia avvisato la famiglia del giovane delle difficoltà di rendimento di quest’ultimo. 

venerdì 13 giugno 2014

RC Auto: le autorità potranno consultare l’archivio delle polizze sul web, come un qualsiasi cittadino

Il Governo aveva annunciato, all’inizio dell’anno, la battaglia contro gli evasori delle assicurazioni grazie a un sistema informatico in tempo reale, consultabile dalle forze dell’ordine attraverso un controllo della semplice targa.

Ma ora le autorità potranno consultare l’archivio delle polizze solo sul web, come un qualsiasi cittadino. Ossia anche tramite una comunissima applicazione messa a disposizione dal Ministero per tutti i cittadini.

Dunque, niente collegamenti telematici dedicati come quelli che consentono di individuare i proprietari dei veicoli cui spedire le multe.

L’assenza di fondi è stata ufficializzata dal Ministero dell’Interno con una circolare del 10.06.2014 n. 300/A/42/46/14/101/20/21/7.

La Motorizzazione non ha le risorse per i collegamenti telematici. In teoria potrebbe continuare a effettuare singole visure, di volta in volta, secondo lo schema da sempre attuato per la notifica dei verbali, attraverso convenzioni con i singoli organi. Ma anche per questo mancano le risorse.

sabato 7 giugno 2014

Dipendenti pubblici? Rispondono del reato di peculato nei confronti dell’amministrazione se navigano in internet durante le ore di lavoro. Vediamo i dettagli della sentenza

È vietato navigare in internet durante le ore di lavoro. Anche per pochi minuti di connessione, l’incaricato di pubblico servizio o il dipendente pubblico rispondono del reato di peculato nei confronti dell’amministrazione.

Difatti, perdere tempo durante il servizio, utilizzando il PC per scopi personali, implica un danno erariale consistente nello spreco di energia elettrica. In altri termini, oltre alla responsabilità civile per mancato svolgimento delle attività lavorative (il che, a tutto voler concedere, potrebbe comportare una sanzione disciplinare, sino al licenziamento, nell’ipotesi più grave), si configura anche una responsabilità penale (il cosiddetto reato di peculato d’uso).

Il peculato per aver fatto lievitare la bolletta della luce all’ente datore di lavoro scatta anche per poche ore di navigazione. Lo ha detto la Cassazione nella recente sentenza n. 23352/14.

Secondo la Corte, nel caso di abuso di un telefono d’ufficio o del computer per scopi personali, la Cassazione chiarisce che la lesione alla pubblica amministrazione non consiste nelle somme necessarie a mantenere attiva l’utenza internet durante la condotta illecita. Il danno, invece, sta nell’utilizzo dell’energia elettrica necessaria al funzionamento del p.c. e nella temporanea disponibilità di tale strumento da parte del dipendente della pubblica amministrazione, che ne realizza un uso non funzionale alle finalità amministrative.

martedì 3 giugno 2014

La TASI peserà di più rispetto all’IMU del 2013. Vediamo i dettagli

Uno studio di Bankitalia ha rivelato che l’imposta sulla casa è stata, di fatto, reintrodotta e peserà di più rispetto all’IMU del 2013.
  
Secondo lo studio, l’introduzione della nuova imposta potrebbe comportare un aumento del prelievo sull’abitazione principale compreso tra il 12% e il 60% in più rispetto all’anno passato, raggiungendo, quindi, le soglie del 2012.

In verità, la Banca d’Italia ha rivelato ciò che già in molti avevano ben compreso e che apparirà in tutta la sua evidenza nel prossimo mese di ottobre, quando le aliquote saranno ormai rese pubbliche da tutte le amministrazioni locali.
  
Tutto parte quando la vecchia imposta sulla casa, l’ICI, è stata reintrodotta nel 2012 con il nuovo nome IMU, a sua volta soppressa l’anno successivo (2013) per questioni elettorali; in realtà, l’IMU è tornata, di fatto, nel 2014, con il nuovo nome TASI.
  
Vediamo i dettagli: come ormai noto, la TASI si compone di una parte statale e di un’altra comunale; se gli enti si limitassero all’aliquota base dell’1 per mille, quest’anno il prelievo aumenterebbe di circa il 12% rispetto all’anno passato; se invece applicassero il tetto massimo del 2,5 per mille il prelievo complessivo crescerebbe di oltre il 60% rispetto al 2013, ritornando ai livelli del 2012.

La principale differenza tra TASI e IMU sta dunque nelle detrazioni. Se infatti l’IMU prevedeva detrazioni fisse di 200 euro per tutti e di 50 euro aggiuntive per ogni figlio convivente, la Tasi non ne prevede affatto. Tale circostanza, peraltro, si riverserà in uno svantaggio per le case più povere. Con la Tasi, invece, le abitazioni di valore più alto pagheranno meno del 2012 (perché, ad oggi,  le aliquote sono più basse di quelle dell’Imu), mentre le sorti delle abitazioni di valore medio-basso (ossia la maggioranza) dipenderanno dalle scelte del Comune e dall’intenzione di quest’ultimo di introdurre detrazioni parametrite sui valori fiscali degli immobili. 

mercoledì 28 maggio 2014

Come vanno utilizzati Facebook, Instagram e Whatsapp? Ecco la recente guida pubblicata dal Garante della Privacy.

Il Garante della Privacy ha recentemente pubblicato una guida dedicata a tutti, con una serie di precauzioni per utilizzare con la massima protezione possibile Facebook e altri social network. La guida contiene alcuni consigli contro abusi illegittimi dei dati personali, invasioni nella sfera privata di minori e famiglie, furti di identità e trappole del web. Quali sono, dunque, le linee guida da seguire?

  • 1. Non c’è separazione tra “vita on line” e “vita off line”: tutto quello che pubblichiamo sui social (post, link, immagini) può avere effetti, anche ritardati nel tempo, sui nostri rapporti familiari, di amicizia, di lavoro ecc. 
  • 2. Il web è un luogo nel quale vigono molteplici norme: si applicano sia quelle penali che quelle a tutela della privacy; attenzione a non commettere reati di diffamazione, ingiuria, violazione del diritto all’immagine ecc. L‘anonimato o il profilo falso non servono ad evitare di essere scoperti poiché le autorità possono comunque  risalire al colpevole delle violazioni.  
  • 3. Quando entriamo in un social network perdiamo il controllo sui nostri dati personali: questi possono essere presi dai nostri contatti, dai gruppi ai quali ci iscriviamo, dalle pagine fan e così monitorati, rielaborati, diffusi anche a distanza di anni; meglio inserire meno informazioni possibili sul proprio profilo utente.
  • 4. Prima di pubblicare foto in cui sono presenti nostri amici, meglio chiedere prima il loro consenso per evitare di ledere la loro privacy, immagine o reputazione.  
  • 5. Riflettere bene prima di inserire on-line dati segreti o di cui non vogliamo la diffusione (per esempio dati riguardanti la salute). In caso di abusi e violazioni della privacy fare una segnalazione al Garante della Privacy e alle altre autorità competenti affinché possano intervenire.  
  • 6. Sul web non è tutto gratis: molte offerte di servizi o iscrizioni a blog, social network, siti ecc. sono apparentemente gratuite. In realtà le paghiamo con i nostri dati personali, anziché col denaro; dati personali che vengono poi “venduti” dai gestori dei social alle aziende interessate a scoprire che tipo di consumatori siamo e come “gestirci” sul mercato.  
  • 7. Tra i nostri contatti abbiamo diversi livelli di conoscenze, dagli amici stretti ai semplici conoscenti. Meglio cautelarsi riservando la visione delle nostre informazioni personali, foto e post ai soli contatti più vicini.
  • 8. Non fare uso eccessivo della geolocalizzazione: nella vita reale non saremmo tentati di dire sempre a tutti dove siamo e con chi proprio per proteggere la nostra privacy.  
  • 9. Navigare sicuri con semplici precauzioni: 1) aggiornare sempre l’antivirus dello smartphone; 2) utilizzare password diverse per ogni social, posta elettronica e gestione del conto corrente online; 3) mai inserire dati personali nel nickname.  
  • 10. Prestare attenzione agli indirizzi internet abbreviati pubblicati sui social network (per esempio url tipo t.co, bit.ly oppure goo.gl) verificando che non conducano a siti fasulli usati per rubare i dati o far scaricare programmi con virus. 
  • 11. Leggere sempre con attenzione le condizioni d’uso dei social, blog o siti a cui ci iscriviamo: è importante conoscere i propri diritti, le regole sulla privacy, l’utilizzo dei dati personali, le regole in caso di disattivazione e cancellazione del profilo. 

L’Authority ricorda che i migliori difensori della nostra privacy siamo innanzitutto noi stessi!

lunedì 26 maggio 2014

Il mio datore di lavoro può impormi ore di lavoro straordinario?

Gentile lettore,
un vecchio R.D.L. del 1923 (art. 5, R.D.L. n. 692 del 15.03.1923) ed i contratti collettivi stipulati dai sindacati e dai rappresentanti degli imprenditori delle singole categorie disciplinano la materia dell’orario di lavoro

Al riguardo, la normativa dispone che il datore di lavoro, quando ve ne sia la necessità, e sempre che non sia possibile procedere alla assunzione di nuovo personale, può saltuariamente richiedere che venga effettuato del lavoro straordinario che non superi le 2 ore giornaliere e le 12 settimanali. Va precisato che può chiedere ma non imporre. La paga oraria per il lavoro straordinario deve essere superiore del 10% rispetto a quella ordinaria.

Contrariamente a quanto disposto dal R.D.L. del 1923, tuttavia, molti contratti collettivi prevedono l’obbligatorietà del lavoro straordinario, al quale, quindi, il lavoratore non si può sottrarre, salvo che non vi sia un giustificato motivo.

Dunque, nel caso di ore di lavoro straordinario, il datore ha l’obbligo di retribuirle secondo le maggiorazioni previste nei contratti collettivi. In tal caso, il dipendente troverà le apposite voci conteggiate nella busta paga. Qualora, invece, ciò non avvenisse, il lavoratore potrà rivolgersi a un consulente del lavoro o a un avvocato che effettuino i dovuti conteggi per verificare il diritto a differenze retributive. In tal caso, sarà necessario inviare una lettera di diffida al datore di lavoro e, se del caso, investire anche la Direzione Provinciale del Lavoro, con un tentativo di conciliazione, prima di procedere al ricorso in tribunale.