Il blog di Claudio De Lucia

INFORMAZIONE SINTETICA ED ESSENZIALE SUL MONDO DELLE LEGGI E DELLA GIURISPRUDENZA

IL SIGINIFICATO DEI TERMINI LEGALI PIU' USATI IN TELEVISIONE E SULLA STAMPA

COME DIFENDERSI DAI PICCOLI SOPRUSI QUOTIDIANI

COME AGIRE EFFICACEMENTE NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E DELLE GRANDI IMPRESE

QUALI SONO I DIRITTI DEI CITTADINI, QUALI LE PIU' RECENTI SENTENZE DELLA CASSAZIONE E COME AGISCONO SULLA VITA DI TUTTI I GIORNI

venerdì 28 febbraio 2014

Ho un posto auto in un condominio. Posso affittarlo liberamente?

Il quesito riguarda l’uso della cosa comune in ambito condominiale, disciplinato dagli artt. 1102 e ss. del codice civile. Le parti comuni dell’edificio, la cui disciplina è rinvenibile all’art. 1117 del codice di rito, tra le quali si annovera anche il cortile, sono di proprietà di tutti i condòmini.

La norma stabilisce il principio dell’uso paritario della cosa comune, che in materia condominiale prevede normalmente tre diverse soluzioni: a) l’uso simultaneo della cosa; b) l’uso turnario; c) l’uso indiretto.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15460/2002, ha stabilito che i condòmini possono deliberare l’uso indiretto (ad es. concederlo in locazione) della cosa comune, con la maggioranza legalmente prescritta, quando non sia possibile l’uso diretto per tutti i partecipanti al condominio, proporzionalmente alla loro quota. L’uso indiretto della cosa comune è quindi consentito, ma solo come ultima soluzione e comunque dietro delibera assembleare a maggioranza dai condomini.
  
Il singolo condòmino non può decidere arbitrariamente di locare a terzi il posto auto che si trovi nel cortile comune. Diversamente potrebbe dirsi in presenza:
a) di una decisione collegiale, presa dall’assemblea a maggioranza, che stabilisca l’uso indiretto della cosa comune, per esempio consentendone la locazione a soggetti esterni;
b) oppure di una delibera unanime di assegnazione esclusiva dei posti auto ai singoli, che potrebbero così legittimamente cederne a terzi il godimento.

Fonte immagine: www.tutorcasa.it

giovedì 27 febbraio 2014

Lo sai che … dal prossimo 30 giugno scatta per i professionisti, i negozianti e gli artigiani l’obbligo di dotarsi del POS? Proroghe anche in materia di sfratti ed energia. Vediamo tutti i dettagli

La legge di conversione del decreto Milleproroghe (Dl 150/13), approvato dal Senato, ha confermato lo slittamento di sei mesi della riforma secondo la quale dal 1° gennaio 2014 professionisti e imprese sono tenuti ad accettare i pagamenti mediante bancomat. (l’obbligo di accettazione della moneta elettronica scatterà dunque a partire dal 30 giugno prossimo).

Nel decreto interministeriale dello scorso 24 gennaio era stata prevista una disciplina transitoria che avrebbe esonerato dall’obbligo tutti i soggetti il cui fatturato dell’anno precedente era uguale o inferiore a 200 mila euro.

Adesso, per effetto del suddetto differimento al 1° giugno, non vi saranno più i margini di tempo per l’ingresso graduale nel nuovo sistema di pagamento, a meno che il nuovo esecutivo riscriva il decreto interministeriale e ristabilisca una nuova fase transitoria.

Il decreto Milleproroghe, oltre alla proroga dei pagamenti tramite Pos, stabilisce l’ennesima proroga degli sfratti, poste le difficoltà economiche del momento. Viene stabilito il differimento di un anno, ossia fino al 31 dicembre 2014, dello stop agli sfratti per le famiglie a basso reddito.

In materia di Energia, slitta di un anno, al 1° gennaio 2015, l’entrata in vigore degli obblighi, per i nuovi edifici o per quelli sottoposti a ristrutturazioni rilevanti, sulla produzione di almeno il 35% dell’energia necessaria alla struttura, tramite il ricorso a energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili.

mercoledì 26 febbraio 2014

Cassazione: l’automobilista cui viene richiesto il prelievo del sangue per il controllo del tasso alcoolemico va previamente avvisato, da parte dei sanitari, della possibilità di farsi assistere dal proprio avvocato di fiducia

Secondo quanto disposto da una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 4405/14), “gli accertamenti del tasso alcoolemico effettuati dalle strutture sanitarie a norma dell’art. 186, comma 5, del codice della strada includono l’esame ematico; il trasgressore, che deve essere informato della finalità penale dell’esame e della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, può rifiutare di sottoporsi al prelievo, incorrendo, tuttavia, nelle sanzioni di cui all’art. 186, comma 7”.

Dunque, secondo la predetta disposizione, al pronto soccorso, l’automobilista cui viene richiesto il prelievo del sangue per il controllo del tasso alcolemico, va previamente avvisato, da parte dei sanitari, della possibilità di farsi assistere dal proprio avvocato di fiducia. Diversamente l’eventuale sanzione per guida sotto l’influenza dell’alcool e sostanze stupefacenti è nulla. Nel caso in cui il prelievo ematico viene invece disposto dai medici solo ai fini di diagnosi e cura, ovviamente, non vi è alcuna necessità di farsi assistere da un legale di fiducia.

Diverso discorso vale nel caso in cui l’accertamento viene esclusivamente chiesto dagli agenti a fini di indagine penale. In questo secondo caso è obbligatorio fornire al conducente ogni avviso relativo alle facoltà difensive.

Pertanto, sintetizza la Corte, qualora ai sanitari presso i quali sia stato soccorso il conducente di un veicolo coinvolto in un sinistro stradale sia richiesto il prelievo ematico preordinato all’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, al trasgressore – previa informazione al medesimo della finalità per cui è effettuato il prelievo ematico – deve essere dato l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.

 Fonte immagine: www.giornalettismo.it

martedì 25 febbraio 2014

Io e mio marito siamo moldavi e viviamo in Italia da diversi anni. L’anno scorso abbiamo avuto un figlio e vorremmo che acquisisse la cittadinanza italiana. Cosa dobbiamo fare?

La legge italiana considera i bambini nati in Italia da genitori stranieri come “stranieri” e non come “cittadini italiani”. Tuttavia, questi ultimi, se hanno vissuto in Italia legalmente e ininterrottamente, possono chiedere la cittadinanza al raggiungimento dei 18 anni. Tale richiesta, però, deve essere effettuata entro massimo dodici mesi dal compimento della maggiore età, secondo quanto disposto dall’art. 4, c. 2, L. 91/1992.

Quali sono le operazioni da compiere? Il bambino deve essere registrato, entro 3 giorni dalla nascita, alla direzione sanitaria dell’ospedale in cui è avvenuto il parto o, entro 10 giorni dalla nascita, presso l’ufficio anagrafe del Comune del luogo di nascita o di residenza dei genitori.

I bambini stranieri nati in Italia, inoltre, devono essere iscritti sul permesso di soggiorno dei genitori (di uno solo o di entrambi) fino al compimento dei 14 anni, secondo l’art. 31 del TU immigrazione. Il genitore, per inserire i figli minori nel proprio permesso di soggiorno, deve chiedere l’aggiornamento di questo documento da farsi presso gli uffici postali, allegando alla domanda una copia del passaporto, del permesso di soggiorno e del codice fiscale del genitore, una copia del certificato di nascita del figlio ed marca da bollo da 16 euro.

La richiesta di aggiornamento deve essere inviata, tramite l’ufficio postale, alla Questura territorialmente competente. Se il figlio è nato mentre si è in attesa del primo rilascio o rinnovo del titolo di soggiorno, il genitore può chiedere l’iscrizione direttamente in Questura, senza passare per l’ufficio postale.

Al compimento del quattordicesimo anno di età al minore viene rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari oppure, se era iscritto su permesso per soggiornanti di lungo periodo di uno o entrambi i genitori, il medesimo permesso.
 Fonte immagine: www.bambini.guidone.it

lunedì 24 febbraio 2014

Sono stato obbligato ad effettuare delle riparazioni urgenti nell'appartamento in cui vivo, dato che il proprietario se ne è completamente disinteressato. Ho diritto al rimborso delle ingenti spese che ho dovuto sostenere?

Nell'ambito del rapporto di locazione tra padrone di casa e inquilino capita molto spesso che quest’ultimo si trovi a lamentare dei difetti dell’immobile, sollecitando più volte un intervento riparatore ed invece il locatore rimanga completamente indifferente. Così, nell'impossibilità di vivere in un’abitazione fatiscente, l’inquilino è costretto a dover anticipare di tasca propria le spese necessarie alla riparazione, per poi chiederne la restituzione alla successiva scadenza del mese; parliamo, ovviamente, di spese di straordinaria amministrazione, in quanto quelle di ordinaria amministrazione competono sempre al locatario, salvo diversi accordi.

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, sent. n. 4064/14 del 20.02.2014, afferma che il conduttore ha diritto al rimborso delle spese per le riparazioni eccedenti la normale manutenzione, solo se: a) i lavori sono urgenti. L'urgenza deve essere dimostrata dall'inquilino; b) anche in caso di urgenza l’inquilino deve aver avvisato in precedenza il locatore e deve agire soltanto quando il padrone di casa nel tempo continui a restare indifferente di fronte alle sue richieste.

In sintesi secondo i giudici il diritto al rimborso è esercitabile solo se i lavori sono necessari e solo in caso di preavviso al locatore.

Fonte immagine: www.news.attico.it

venerdì 21 febbraio 2014

Strage di Piazza della Loggia: la Cassazione annulla le assoluzioni di Maggi e Tramonte. Processo da rifare dopo 40 anni

Il 28 maggio 1974, alle ore 10.12,  una bomba collocata in un cestino di rifiuti in piazza della Loggia, culla della cultura e della vita di Brescia, esplose durante una pacifica manifestazione antifascista organizzata contro la violenza eversiva di quegli anni, a caldo di una sequenza di episodi di violenza neofascista che si erano verificati in città. Nell'esplosione morirono otto persone e restarono ferite 102.
Nel 1979 furono condannati alcuni esponenti dell'estrema destra bresciana. Uno di essi, Ermanno Buzzi, in carcere in attesa d'appello, fu strangolato il 13 aprile 1981 da Pierluigi Concutelli e Mario Tuti. Nel giudizio di secondo grado, nel 1982, la condanne del giudizio di primo grado vennero commutate in assoluzioni, le quali a loro volta vennero confermate nel 1985 dalla Corte di Cassazione.
Nel 1984, a seguito delle rivelazioni di alcuni pentiti, furono accusati altri rappresentanti della destra eversiva. Gli imputati furono assolti in primo grado nel 1987, per insufficienza di prove, e prosciolti in appello nel 1989 con formula piena. La Cassazione, qualche mese dopo, confermerà l'esito processuale di secondo grado. Il 19 maggio 2005 la Corte di Cassazione ha confermato la richiesta di arresto per il neofascista Delfo Zorzi (oggi cittadino giapponese, non estradabile, con il nome di Hagen Roi) per il coinvolgimento nella strage di piazza della Loggia.
Il 15 maggio 2008 sono stati rinviati a giudizio i sei imputati principali: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Pino Rauti, Francesco Delfino, Giovanni Maifredi. I primi tre erano all'epoca militanti di spicco di Ordine Nuovo, gruppo neofascista fondato nel 1956 da Pino Rauti e più volte oggetto di indagini, pur senza successive risultanze processuali, in merito all'organizzazione ed al compimento di attentati e stragi. Ordine Nuovo fu sciolto nel 1973 per disposizione del ministro dell'Interno Paolo Emilio Taviani con l'accusa di ricostituzione del Partito Fascista. Francesco Delfino fu invece ex generale dei carabinieri, all'epoca responsabile - con il grado di capitano - del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Brescia, e Giovanni Maifredi, ai tempi collaboratore del ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani.
Il 21 ottobre 2010 i pubblici ministeri titolari dell'inchiesta hanno formulato l'accusa di concorso in strage per tutti gli imputati, ad eccezione di Pino Rauti, per il quale è stata invece chiesta l'assoluzione per insufficienza di prove, pur sottolineando la sua responsabilità morale e politica per la strage.
 Il 16 novembre 2010 la Corte D'Assise ha emesso la sentenza di primo grado della terza istruttoria, assolvendo tutti gli imputati con formula dubitativa, corrispondente alla vecchia formula dell'insufficienza di prove.
Sembrava finita, ma oggi è arrivato l'ennesimo ribaltone

Fonte immagine: www.ilgiorno.it

Vorrei installare un impianto fotovoltaico sul tetto della mia abitazione. È vero che tale installazione necessita della registrazione al Catasto?


Gentile lettore, si è vero; è necessario chiarire però alcuni importanti aspetti in seguito a quanto disposto dall'Agenzia delle Entrate  con la circolare n. 36/E del 19.12.2013 la quale specifica i criteri per l’individuazione delle installazioni fotovoltaiche che necessitano obbligatoriamente della registrazione al Catasto.

Al riguardo, dunque, va chiarito che l’impianto fotovoltaico installato sul tetto dell’abitazione va registrato al Catasto nel caso in cui superi i 3 KW di potenza e aumenti, almeno del 15%, il valore dell’immobile.
  
Sempre secondo quanto disposto dall’Agenzia delle Entrate, ai fini dell’accatastamento, non rileva la modalità di posizionamento dei pannelli o la loro più o meno facile amovibilità rispetto alla struttura sulla quale vengono impiantati. Piuttosto, ciò che rileva è la capacità reddituale che gli impianti producono contribuendo a far crescere la rendita catastale dell’immobile.

In base al suddetto criterio, non necessitano di alcuna  registrazione al Catasto gli impianti “minori”, ossia quelli che hanno una potenza non superiore ai 3 Kw. Dunque, tutti gli impianti con potenza superiore, aumentando il valore dell’immobile, sono soggetti all’obbligo di registrazione. Tuttavia, quando l’impianto è al servizio di un’unità immobiliare già accatastata, la variazione catastale è obbligatoria solo se il valore dell’impianto supera il 15% della rendita catastale.


Fonte immagine: www.casa24.ilsole24.com

giovedì 20 febbraio 2014

Tracciabilità affitti: dietrofront sul divieto di pagamento degli affitti in contante. Nel 2014 si potranno continuare a pagare fino alla soglia dei 1000 euro

Il Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'Economia e delle Finanze, facendo seguito alle richieste di chiarimento pervenute dall'Agenzia delle Entrate, ha chiarito che il pagamento dei canoni di locazione di unità abitative può avvenire in contanti per importi inferiori a 1.000 euro.

Per quale motivo si è reso necessario tale intervento? La legge di Stabilità per il 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147) si è occupata, tra le altre cose, dei pagamenti delle locazioni, stabilendo all'articolo 1, co. 50, che i pagamenti riguardanti canoni di locazione di unità abitative, fatta eccezione per quelli di alloggi di edilizia residenziale pubblica, sono corrisposti obbligatoriamente, quale ne sia l'importo, in forme e modalità che escludano l'uso del contante e ne assicurino la tracciabilità anche ai fini della asseverazione dei patti contrattuali per l'ottenimento delle agevolazioni e detrazioni fiscali da parte del locatore e del conduttore.

In pratica, con la suddetta norma veniva reso obbligatorio il pagamento dei canoni di locazione di unità abitative (sembra siano escluse le unità diverse dalle unità abitative) con qualsisi metodo che assicuri la tracciabilità con l'esclusione, ovviamente, del contante. Per quanto concerne le locazioni di unità commerciali si può continuare ad utilizzare il contante sino, ovviamente, ad un importo massimo di € 1.000,00 (art. 12, co. 1, del dl 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214).

Ma, come precisato dalla circolare del 5 febbraio 2014 (prot. 10492) del Dipartimento del Tesoro, la norma che limita l'uso del contante è il d.lgs. 231/2007 che all'art. 49, rubricato "Limitazioni all'uso del contante e dei titoli al portatore" (più volte modificata ed integrata), ha portato l'importo massimo dell'uso del contante da 12.500 a 1.000 Euro

Dunque, fermo il limite di carattere generale di cui all'art. 49 del d.lgs. n. 231/07, la finalità di conservare traccia delle transazioni in contante, eventualmente intercorse tra locatore e conduttore, può ritenersi soddisfatta fornendo una prova documentale, comunque formata, purché chiara, inequivocabile e idonea ad attestare la devoluzione di una determinata somma di denaro contante al pagamento del canone di locazione, anche ai fini della asseverazione dei patti contrattuali, necessaria all'ottenimento delle agevolazioni e detrazioni fiscali previste dalla legge a vantaggio delle parti contraenti. 

Fonte immagine: www.monitorimmobiliare.it

mercoledì 19 febbraio 2014

Sono stato tamponato, in Italia, da un auto con assicurazione e targa estera. Come posso ottenere il risarcimento dei danni?

Capita con molta frequenza di incrociare sulle strade del Bel Paese veicoli stranieri, con assicurazione auto e targa estera. Come bisogna muoversi, dunque, nel caso in cui si incappi in un incidente con un veicolo estero ?

Preliminarmente, occorre precisare che la legislazione che ha valore è ovviamente quella italiana, non bisogna dunque rivolgersi a nessuna compagnia straniera. Esiste infatti in Italia un istituto creato appositamente, chiamato UCI (Ufficio Centrale Italiano), fondato nel 1953 con lo scopo di risolvere questioni assicurative legate a sinistri che, in Italia, coinvolgono veicoli stranieri.

Come può essere ottenuto il risarcimento?
Per ottenere il risarcimento è necessario inviare una raccomandata a/r alla sede dell’UCI, sita in Milano (MI) al Corso Sempione n. 39 – 20145. La richiesta di risarcimento danni dovrà contenere i seguenti dati: a) data e luogo dell’incidente; b) nazionalità, tipo e targa del veicolo estero; c) cognome, nome e indirizzo del proprietario e del conducente dei veicolo estero; d) nome della compagnia di assicurazione del veicolo estero; e) estremi dell’autorità eventualmente intervenuta; f) descrizione dettagliata dell’incidente e, se disponibile, copia del modulo CID; g) copia della Carta Verde esibita dal conducente del veicolo estero, se disponibile. L’UCI, che rappresenta in Italia le compagnia assicuratrice estere, in base ai dati forniti, è in grado di identificare a quale assicurazione italiana bisogna rivolgersi.

E se l’incidente avviene all’estero con un veicolo straniero?
In tal caso è necessario inviare una richiesta di informazioni scritta preferibilmente tramite fax o e-mail al CONSAPCentro di Informazione Italiano (Fax: +39 0685796270 – e-mail: richieste.centro@consap.it). La richiesta dovrà contenere i seguenti dati: a) nazione di accadimento del sinistro; b) data di accadimento del sinistro; c) targa del veicolo responsabile del sinistro; d) stato di immatricolazione della vettura responsabile. Il CONSAP comunicherà al richiedente il nominativo della compagnia italiana che gestirà il sinistro.

Fonte immagine: www.automoto.it

martedì 18 febbraio 2014

Ho acquistato un cellulare all’estero che risulta essere difettoso. A quale giudice devo rivolgermi per promuovere l’azione di responsabilità?

Gentile lettore,
una  recente sentenza del 16 gennaio 2014 della Corte di Giustizia dell’Ue ha chiarito che nel caso in cui il consumatore abbia acquistato un bene difettoso prodotto in un Paese dell’Unione Europea diverso da quello in cui risiede, per promuovere l’azione di responsabilità deve rivolgersi al giudice dello Stato di fabbricazione.

In realtà, tale sentenza sembra non tutelare appieno il danneggiato; i giudici hanno affermato che è il luogo di produzione del bene che deve essere considerato come quello del fatto generatore del danno. Dunque, il consumatore dovrà avviare una causa all’estero, con tutti gli aggravi che ne discendono.

Relativamente alle azioni di responsabilità per danno da prodotti difettosi, il fatto che genera il danno è quello della produzione del bene e, di conseguenza, dovrà essere affidata la competenza al giudice del luogo in cui si è realizzato il fatto che ha danneggiato il prodotto, che è quello della produzione. In via generale, quindi, la giurisdizione è del giudice dello Stato membro in cui il prodotto è stato fabbricato.

Diversamente, nel caso in cui si acquistasse tramite web (acquisto via internet)  un prodotto difettoso all’estero, la Corte Ue, con sentenza del 14.11.2013 (C-478/12), ha stabilito regole favorevoli al consumatore. I giudici hanno infatti permesso a una coppia di turisti insoddisfatti di rivolgersi al giudice del loro domicilio per citare sia il sito web da cui avevano acquistato il viaggio, con sede in un altro Paese Ue, sia il tour operator, con sede nel loro stesso Stato, ma in un’altra città.

La citata sentenza ribalta un precedente della Corte di Giusitizia dell’Ue (sentenza del 6.9.2012, causa C-190/11) secondo cui il consumatore può fare causa nel proprio Paese di residenza nei confronti del venditore estero, senza dover ricorrere ai giudici stranieri. Nel caso di specie la Corte aveva riconosciuto il diritto di una donna austriaca di rivolgersi ai giudici del proprio Paese contro un concessionario di auto di Amburgo, ove la donna si era recata per acquistare un mezzo, avendone letto le relative offerte sul web.

venerdì 14 febbraio 2014

Sono scivolata sul pavimento bagnato di un supermercato e mi sono fratturata un braccio. Ho diritto ad essere risarcita?


Anche un pavimento bagnato, pur apparendo come una situazione formalmente innocua, può dare luogo a una richiesta di risarcimento e al conseguente obbligo di liquidare il danno patito dall’infortunato; dunque, non è necessaria una intrinseca pericolosità della cosa per dar luogo a una responsabilità e quindi ad una richiesta di risarcimento.

Al riguardo, peculiare risulta essere una recente sentenza della Corte d’appello di Firenze (sent. n. 851 del 25.05.2010); il dubbio è se una situazione apparentemente non pericolosa e, per certi versi, anche visibile possa giustificare una richiesta di risarcimento. Secondo l’opinione dei giudici toscani la risposta è affermativa. In questi casi, il custode del bene (ossia il proprietario del locale o del punto su cui si trova l’insidia) è responsabile per le cose in custodia (art. 2051 c. civ.) anche se la causa del danno (come può essere appunto una macchia d’acqua) non presenti, in sé, una intrinseca pericolosità.

Quindi, tutte le cose possono essere causa di danno, quale che sia la loro struttura o qualità, siano esse immobili o in movimento. Anche una foglia d’insalata o la buccia di un frutto, pur non avendo un’autonoma pericolosità, può essere idonea a produrre una lesione, quando la sua presenza diventa una insidia o un trabocchetto per il passante. Dunque, è legittima la richiesta di un indennizzo per chi sia caduto al suolo procurandosi una ferita o una rottura di qualche arto.

giovedì 13 febbraio 2014

Ricevo continuativamente telefonate pubblicitarie sul mio numero di casa. Come posso fare per evitare che mi contattino? Posso oppormi?

I cittadini i cui numeri sono iscritti negli elenchi telefonici pubblici – cd. “abbonati” – hanno diritto di opporsi alle telefonate pubblicitarie indesiderate. L’opposizione può avvenire tramite l’iscrizione al registro pubblico delle opposizioni e segnalazione all’Autorità garante della privacy.

Iscrizione al registro pubblico delle opposizioni: l’iscrizione a tale registro consente al cittadino di segnalare di non voler più essere contattato per finalità di telemarketing. L’iscrizione è gratuita e può essere effettuata tramite: a) l’apposito sito web, compilando il modello elettronico disponibile nell’ “Area Abbonati”; b) e mail all’indirizzo “abbonati.rpo@fub.it”; c)  telefonata al numero verde 800.265.265; d) raccomandata, scrivendo a: “GESTORE DEL REGISTRO PUBBLICO DELLE OPPOSIZIONI – ABBONATI” UFFICIO ROMA NOMENTANO – CASELLA POSTALE 7211 – 00162 ROMA (RM); e) fax al numero 06.54224822.

L’iscrizione al registro delle opposizioni è a tempo indeterminato, revocabile senza alcuna limitazione, possibile in ogni momento, a qualsiasi ora anche nei giorni festivi ed  idonea alla contemporanea iscrizione di più numerazioni intestate allo stesso abbonato.

Segnalazione all’Autorità garante della Privacy: il cittadino che, nonostante l’iscrizione al pubblico registro delle opposizioni, continua a ricevere telefonate pubblicitarie indesiderate può effettuare apposita segnalazione al Garante della Privacy. Questi avvierà, se del caso, un procedimento istruttorio e sanzionerà l’azienda colpevole di aver violato la volontà espressa dell’utente iscritto nel pubblico registro di non ricevere telefonate pubblicitarie.

Prima di effettuare la segnalazione è però opportuno verificare che le telefonate indesiderate siano state ricevute dopo l’avvenuta iscrizione al Registro. A tal proposito si segnala che devono trascorrere 15 giorni dalla data dell’iscrizione affinché quest’ultima diventi effettiva.

Occorre, inoltre, accertarsi di non aver autorizzato trattamento dei propri dati per finalità di telemarketing allo specifico soggetto che ha effettuato la chiamata. In questo caso, infatti, l’opposizione sarebbe infondata.

Qualora le modalità del telemarketing violino gravemente la riservatezza e privacy dell’interessato, la semplice segnalazione può non bastare, rendendosi necessario il ricorso all’autorità giudiziaria.

mercoledì 12 febbraio 2014

Canone Rai: obblighi di pagamento, prescrizione, esenzioni. L’abolizione del canone da parte della Corte Europea? Una bufala.

Una legge del 1938 stabilisce che il pagamento del canone di abbonamento Rai-Tv è obbligatorio per chiunque “detenga” uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni, che prescinde, quindi, dall’uso effettivo del televisore, dalle emittenti televisive seguite o dall’utilizzo del televisore stesso per fini differenti.

Sulla base di quali presupposti viene stabilito l’obbligo di pagamento del canone? Il parametro di riferimento per l’imputazione dell’imposta è la residenza. Pertanto, ciascun nucleo familiare è gravato dall’obbligo di corrispondere il canone.

Entro quanto tempo la Rai può pretendere il pagamento del canone?  Il canone RAI, come quasi tutti i tributi, si prescrive nel termine di 10 anni. Questo vuol dire che, prima della scadenza di tale termine, la Rai deve inviare all’utente almeno una lettera di diffida, onde interrompere tale termine di prescrizione. Il canone, dunque, non è dovuto per le annualità anteriori agli ultimi dieci anni, sempre che – come detto – non siano intervenute richieste per iscritto da parte della tv pubblica.
  
Che succede se non pago il canone? In caso di mancato pagamento, la Rai può affidare la riscossione ad Equitalia, che emetterà la nota cartella esattoriale.
  
A quanto ammonta il canone? Il canone ammonta attualmente a 113,50 euro. Allo stato attuale, l’evasione è di quasi il 26,7% della popolazione.  Nel caso in cui lo stesso soggetto detenga più apparecchi, sia nella stessa abitazione che in abitazioni diverse, sia per uso proprio che dei propri familiari, è dovuto un solo pagamento del canone. Pertanto, il pagamento del canone di abbonamento alla televisione per l’abitazione primaria consente all’utente di detenere uno o più apparecchi televisivi anche nella propria dimora abituale e secondaria, a vantaggio dei componenti del proprio nucleo familiare.

Come possono disdire l’abbonamento per non pagare il canone Rai? Per disdire l’abbonamento Rai occorre avanzare la nota richiesta di suggellamento dell’apparecchio e versare l’importo di 5,16 euro a mezzo di vaglia postale. Successivamente, a norma di legge, l’utente dovrebbe ricevere la visita di un incaricato Rai presso il proprio indirizzo di residenza per la chiusura del televisore in un apposito involucro munito di sigilli ministeriali.

C’è un altro modo per non pagare il canone, oltre alla procedura di suggellamento? Si. L’interessato dovrà dichiarare di convivere con un utente che è già titolare di un abbonamento, indicando nominativo, indirizzo e numero di abbonamento.

La Rai mi ha chiesto il canone ma io non ho alcuna tv. Che devo fare? In presenza di una richiesta di pagamento del canone dalla Rai tramite raccomandata, sarà possibile comunicare formalmente all’ente che non si possiede alcun apparecchio televisivo, indirizzando la missiva all’agenzia delle Entrate, Direzione provinciale I di Torino, Ufficio territoriale di Torino 1 Sportello S.A.T., Casella postale 22, 10121 Torino.

Ho sentito che è dovuto il canone Rai anche se posseggo un computer. È vero? Anche il possesso o la detenzione di computer, od altri terminali elettronici come i tablet, collegati a internet, obbligherebbe al pagamento dell’onere fiscale. Tuttavia, tale rigida interpretazione di una norma così datata è stata di recente smentita dalla stessa Rai, la quale ha precisato che l’utilizzo di un computer non obbliga di per sé al pagamento del canone, salvo che l’apparecchio non sia «specificatamente destinato» ad essere utilizzato come un televisore, come avviene in alcuni casi.

Sono previste delle esenzioni dal pagamento del canone? La legge prevede l’esenzione del canone Rai per soggetti di età pari o superiore a 75 anni. Per avere diritto all’esenzione occorre: aver compiuto 75 anni di età entro il termine di pagamento del canone; non convivere con altri soggetti diversi dal coniuge titolari di reddito proprio; possedere un reddito che unitamente a quello del proprio coniuge convivente, non sia superiore complessivamente a 516,46 euro per tredici mensilità (ovvero 6.713,98 euro annui).

Abolizione del canone da parte della Corte Europea? Una bufala
L’Alta Corte, con al sentenza del 13.12.2013, si è pronunciata dichiarando inammissibile e manifestamente infondato il ricorso presentato dal Governo Italiano che ha imposto di pagare il canone Rai ad un cittadino, A.D, di Maglie (LE). La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, ha sostenuto che l’intervento della polizia tributaria a danno del cittadino, aveva determinato la violazione del diritto a ricevere notizie e informazioni di carattere pubblico. I giudici dell’ Alta Corte Europea hanno sostenuto che le Autorità Italiane hanno perseguito uno scopo illegittimo, obbligando i cittadini all’abbonamento del canone, compromettendo la libertà di informazione. L’abolizione del canone è una mera invenzione del web.