Il blog di Claudio De Lucia

INFORMAZIONE SINTETICA ED ESSENZIALE SUL MONDO DELLE LEGGI E DELLA GIURISPRUDENZA

IL SIGINIFICATO DEI TERMINI LEGALI PIU' USATI IN TELEVISIONE E SULLA STAMPA

COME DIFENDERSI DAI PICCOLI SOPRUSI QUOTIDIANI

COME AGIRE EFFICACEMENTE NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E DELLE GRANDI IMPRESE

QUALI SONO I DIRITTI DEI CITTADINI, QUALI LE PIU' RECENTI SENTENZE DELLA CASSAZIONE E COME AGISCONO SULLA VITA DI TUTTI I GIORNI

venerdì 31 gennaio 2014

RC-Auto, processo di informatizzazione delle polizze: dal 15 febbraio prossimo scatteranno i controlli automatici che rileveranno le targhe dei veicoli in transito. Vediamo i dettagli

A partire dal prossimo 15 febbraio partirà il nuovissimo archivio della Motorizzazione, che conterrà gli estremi delle polizze RCA di tutti gli italiani. In questo modo scatteranno i controlli automatici antievasione per l’assicurazione obbligatoria. In buona sostanza, l’archivio sarà in grado di controllare se le vetture sono in regola con la polizza RC-Auto o meno.

Ad essere informatizzato, però, sarà solo il controllo e non anche (almeno per il momento) il processo di elevazione della sanzione: per quest’ultima, infatti, ci sarà sempre bisogno di un agente.

Come stabilito dalla Legge 183/2011, la Motorizzazione sarà, in questo modo, capace di trasmettere i dati delle auto non assicurate al Ministero dell’Interno e alle autorità. Queste ultime dovranno sollecitare i proprietari a stipulare l’Rc auto entro 15 giorni.

Proprio per poter procedere a tali controlli automatici, il ministero dovrà fissare le caratteristiche tecniche degli apparecchi. I costruttori dovranno avere il tempo per adeguarli e presentare la domanda di approvazione, quindi i controlli difficilmente potranno partire prima della seconda metà dell’anno.

Il sottosegretario ha confermato che i controlli non saranno mai del tutto automatici, vista la delicatezza della materia da accertare. È stato, infatti, chiarito che le rilevazioni degli apparecchi sulla mancata copertura assicurativa non porterà direttamente alla compilazioni di verbali, ma solo a inviti a presentarsi a un ufficio di polizia con i documenti per farli esaminare dagli agenti. Saranno, poi, questi ultimi a redigere il verbale, una volta effettuati i riscontri.

giovedì 30 gennaio 2014

Sono disoccupato e percepisco l’indennità ASPI (vecchia disoccupazione ordinaria). Posso comunque avere un reddito da lavoro autonomo senza perdere l’indennità?

Ebbene si, il lavoratore che percepisce l’indennità Aspi può trovare una nuova occupazione nell’ambito di un qualsiasi lavoro autonomo. Quest’ultimo, se produce un reddito non superiore a 4.800 euro annui, determina la conservazione dello stato di disoccupazione e quindi il diritto a percepire l’indennità Aspi.

Vige però l’obbligo da parte del lavoratore di informare l’Inps della cosa entro un mese dall’inizio dell’attività dichiarando il relativo reddito secondo il disposto dell’art. 2, comma 17, Legge 92/2012.

In caso di svolgimento di attività lavorativa in forma autonoma, dalla quale derivi un reddito inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, il soggetto beneficiario deve informare l'INPS entro un mese dall'inizio dell'attività, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarre da tale attività. Il predetto Istituto provvede, qualora il reddito da lavoro autonomo sia inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, a ridurre il pagamento dell'indennità di un importo pari all'80 % dei proventi preventivati, rapportati al tempo intercorrente tra la data di inizio dell'attività e la data di fine dell'indennità o, se antecedente, la fine dell'anno. La riduzione di cui al periodo precedente è conguagliata d'ufficio al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi; nei casi di esenzione dall'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, e' richiesta al beneficiario un'apposita autodichiarazione concernente i proventi ricavati dall'attività autonoma 

mercoledì 29 gennaio 2014

Mi sono recato dal carrozziere per cambiare lo sportello incidentato della mia auto nuova e mi sono accorto che è stato sostituito con un ricambio “non originale”. Cosa posso fare?

L’autocarrozzeria che sostituisce la portiera di un’automobile con uno sportello non originale, o appartenente a un’altra vettura, è tenuta a risarcire l’automobilista per il danno arrecato.

Una recente sentenza della Cassazione (sent. n. 1179/2014)  ha condannato il comportamento scorretto di un carrozziere, colpevole di aver affibbiato al cliente uno sportello taroccato, appartenente ad un modello di veicolo precedente.

È necessario prestare molta attenzione, dunque, a non dare per scontato l’operato del carrozziere cui ci si rivolge: è necessario essere scrupolosi e attenti ad ogni minimo dettaglio. In primo luogo, è preferibile rivolgersi ad autocarrozzerie autorizzate o comunque convenzionate con il modello di auto posseduto. È buona regola, inoltre, chiedere l’esibizione della fattura o dell’ordine di acquisto del prodotto originale effettuato dal titolare. Sarebbe poi opportuno pretendere sempre un preventivo di spesa, dettagliato in ogni sua voce, datato e sottoscritto dal carrozziere.

Nella fattispecie, i Giudici hanno sottolineato che l’autocarrozzeria non aveva ricevuto l’autorizzazione del proprietario ad utilizzare un pezzo non originale. Inoltre, è evidente come lo stesso automobilista non avrebbe mai potuto essere d’accordo con una simile operazione, e ciò per una serie di pratiche ragioni, tra cui il fatto che si trattava di un’autovettura acquistata da pochi mesi, nonché per ulteriori ragioni, quali: a) la mancanza di interesse dell’automobilista ad una sostituzione sconveniente, anche perché il costo era totalmente a carico dell’assicurazione; b) la non urgenza dell’intervento, in quanto il proprietario possedeva altri veicoli per sostituire quello incidentato; c) la richiesta immediata di spiegazioni all’officina dopo aver scoperto che la portiera, chiaramente non originale poiché prelevata da uno stesso modello di auto ormai fuori produzione, era stato adattato alla propria. 

I Giudici, pertanto, hanno ritenuto pienamente legittima la richiesta di risarcimento dell’automobilista, avendo questi dimostrato che vi era un contratto di riparazione del mezzo e che la condotta dell’autocarrozzeria era contraria al principio di buona fede.

martedì 28 gennaio 2014

Sono intestataria di una carta ricaricabile bancaria e mi è stata “svuotata” probabilmente da un hacker. Ho diritto ad essere risarcita dalla banca?

L’istituto di credito deve rimborsare il proprio cliente qualora la carta ricaricabile venga “svuotata” tramite operazioni di “hackeraggio”.

Una recente sentenza del Giudice di Pace di Lecce (sent. n. 97/2014) ha disposto, infatti, che il malcapitato correntista vittima di phishing, dopo essersi visto svuotare interamente la propria carta di credito ricaricabile da un hacker, ha ottenuto l’integrale ripristino della provvista. Il magistrato onorario ha dunque condannato la banca per violazione del codice della privacy e per non aver predisposto un sistema sicuro che garantisse al cliente l’accesso all’home banking.

Il codice privacy impone ad ogni istituto di credito di garantire, ai propri clienti, un sistema di home banking sicuro, con credenziali di accesso anti-phishing. Il che implica la necessità dei cosiddetti sms-alert (messaggini che avvisino di eventuali prelievi dalla carta) o del token (un sistema generatore di infinite password).

Se tali garanzie non vengono predisposte e non sono funzionanti, la banca che fa home o internet banking è tenuta a risarcire il cliente vittima dell’hacker che gli ha clonato la carta ricaricabile o comunque è riuscito ad intrufolarsi nel suo account di home banking.

Nella sentenza in commento si ricorda che il codice della privacy impone, a chi è responsabile del trattamento dei dati personali, di tutelare la riservatezza delle informazioni, inclusi i codici di accesso alle provviste economiche on line.

Lo stratagemma messo in atto dal phisher è il consueto: una mail nella casella di posta elettronica del correntista che lo invita ad accedere urgentemente al proprio servizio di home bancking. In realtà, l’utente viene dirottato verso una pagina in tutto identica a quella dell’istituto di credito, ma che è invece una perfetta imitazione. Ivi, una volta immesse le credenziali di accesso all’account, le stesse vengono “intercettate” dal criminale informatico e usate successivamente per svuotare il conto (quello reale) del malcapitato.

Ebbene, se il sistema di sicurezza adoperato dalla banca risulta debole e l’istituto non garantisce accorgimenti come sms-alert o la chiave d’accesso token, che segnalino ogni singola operazione, il correntista potrebbe non accorgersi mai di essere caduto della trappola del phishing.  In questi casi, dunque, l’istituto di credito deve essere condannato al risarcimento del danno per mancata attuazione delle norme del codice della privacy. La banca, peraltro, nei rapporti contrattuali con il cliente risponde secondo le regole del mandato. E la diligenza del “buon banchiere richiede un livello di prudenza elevata quando si ha a che fare con transazioni via web.

lunedì 27 gennaio 2014

Ho fatto un investimento in banca, ma non sono stato messo al corrente dei rischi cui andavo incontro. Posso chiedere un risarcimento alla banca?

Il cliente (consumatore-risparmiatore) deve essere sempre messo al corrente dei rischi dell’investimento cui va incontro. Avranno dunque diritto al risarcimento i risparmiatori cui la banca non ha fornito tutte le informazioni circa i rischi dell’investimento: lo sottolinea una recentissima sentenza della Cassazione (sent. n. 1511 del 24.01.2014).

La banca è tenuta a illustrare al cliente “di normale accortezza” tutti i rischi dell’investimento nonché le informazioni della società emittente che potrebbero compromettere l’investimento.

La Cassazione è consapevole della propensione del risparmiatore ad acquistare “titoli tranquilli“, cioè a basso rischio di insolvenza, ma sarà meglio – in una eventuale causa contro la banda – dare prova di ciò depositando la documentazione relativa a titoli acquistati in precedenza ed a quelli posseduti, desumendone la propensione al rischio del risparmiatore.

Qualora il cliente abbia sporadicamente acquistato titoli ad alto rischio ciò non fa di lui un “operatore qualificato”  se il suo portafoglio titoli (passato e presente) mostra un atteggiamento prudente, cioè un risparmiatore orientato all’acquisto di obbligazioni di società con alto rating o con capitale garantito, ovvero titoli del debito pubblico (btp, cct, bot).

Quale risarcimento?
La Cassazione chiarisce anche l’entità del danno risarcibile. Il risarcimento da versare al risparmiatore, secondo i giudici, è pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento dell’acquisto e quello al momento della domanda giudiziale o (se anteriore) al valore al momento in cui il cliente ha avuto consapevolezza della caduta del titolo.

Il danno consiste invece nel fatto che i titoli incorporano in sé un rischio (quello di futura perdita del capitale investito) che il cliente ben informato avrebbe di certo evitato.

sabato 25 gennaio 2014

Ho apportato una modifica alla mia consolle di videogames “Playstation”. Tale modifica, cd. jailbreak, è illegale? Vediamo i dettagli

Le consolle di viodeogames sono come i pc, ed il fatto che siano destinate solo al gioco non toglie che possano essere smontate, modificate, assemblate, potenziate, “corrette”. Dunque, sbagliano le case produttrici a imporre limitazioni ai consumatori con dei meccanismi di protezione e criptazione. L’utente, dopo aver acquistato l’hardware, ne diviene proprietario ed è libero di farne quello che vuole, finanche il cosiddetto jailbreak, ossia la forzatura di tutte le protezioni.
Resta ovviamente fermo che i videogames, invece, non possono essere copiati: quelli restano coperti dal copyright.

A dirlo è una sentenza della Corte di Giustizia che farà storia (C. Giust. UE sent. del 23.01.2014, causa C-355/12) L’utente è libero dunque di ampliare le possibilità di utilizzo e di gioco della propria consolle. L’attività di “sblocco” non è assolutamente illegale.

La Corte è ritorna anche sulla questione dei videogiochi. Essi sono protetti dal diritto d’autore, a condizione che siano opere originali, ossia rappresentino il risultato della creazione intellettuale del loro autore. E ciò vale anche per le singole parti dell’opera. Nei limiti in cui concorrono all’originalità dell’opera, le parti che compongono un videogioco – come per esempio gli elementi grafici sonori – sono protette, insieme all’opera nel suo complesso, dal diritto d’autore.

In definitiva, è legale l’elusione del sistema di protezione di una consolle per videogiochi, il cosiddetto jailbreack: il produttore, infatti, è protetto solo qualora le misure siano dirette ad impedire l’utilizzazione di videogiochi contraffatti.

giovedì 23 gennaio 2014

È possibile intestare una polizza Rc auto a persona differente dall'intestatario dell’autovettura? Si, è possibile. Vediamo meglio i dettagli.

Mio padre, disabile, ha acquistato un’auto con agevolazioni fiscali; il conducente abituale del veicolo sarò io. Posso intestarmi la polizza Rc Auto anche se il proprietario dell’auto è mio padre?

Il contraente di una polizza di assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore può essere certamente una persona diversa dal proprietario del veicolo assicurato.

L’art. 134, comma 3, cod. assicurazioni private si limita a stabilire che i veicoli a motore “non possono essere posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate se non sono coperti dall'assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi”. Il riferimento a questa disposizione fa ritenere, pertanto, che siano obbligati a stipulare l’assicurazione i soggetti che la legge indica quali presunti responsabili di danni a terzi derivanti dalla circolazione del veicolo, ossia il proprietario, il conducente, l’acquirente con patto riservato e il locatario in leasing, in pratica tutti coloro che indipendentemente dall'intestazione al PRA del veicolo, lo pongono in circolazione.

Quanto alla conservazione della classe di merito in caso di variazione del contraente, l’attestato sullo stato del rischio, qualora non vi sia variazione nella figura del proprietario, è utilizzabile, in sede di stipula o rinnovo contrattuale, da parte del precedente contraente, da altro contraente ovvero dello stesso proprietario. Questo vuol dire che la classe di merito alla quale il contratto viene assegnato si riferisce al proprietario del veicolo e non al contraente (art. 1 L. n. 990/1969). In tal caso, se il proprietario non dispone di un attestato relativo a un altro veicolo il cui rischio sia cessato per furto, cessazione definitiva della circolazione, demolizione, definitiva, esportazione all'estero o vendita, il nuovo contratto, relativo a un veicolo immatricolato al PRA per la prima volta o assicurato per la prima volta dopo una voltura al PRA, dovrà essere assegnato alla classi di merito di ingresso.

mercoledì 22 gennaio 2014

Sono un insegnate di ruolo ed occasionalmente impartisco lezioni private “in nero” a casa. Come posso regolarizzare questa mia seconda attività? Quali obblighi fiscali avrei?

L’effettuazione di lezioni private in materie scolastiche da parte di un contribuente lavoratore dipendente si deve considerare come lavoro autonomo svolto in modo occasionale (lett. l, comma 1, articolo 67 Tuir) in quanto, per comune esperienza, esso implica attività episodiche, saltuarie e comunque non programmate.

I compensi conseguiti andranno dichiarati nella sezione II-A del quadro RL di Unico Pf (oppure, in caso di utilizzo del modello 730, nel quadro D, rigo D5, codice 2) e assoggettati a tassazione (mediante imputazione al reddito complessivo posseduto) al netto di tutte le spese inerenti eventualmente sostenute.

Non sono richiesti ulteriori adempimenti formali/sostanziali, soprattutto da parte del committente, cui sono impartite le lezioni private, il quale, non rivestendo la soggettività di sostituto d’imposta non è tenuto ad effettuare le ritenute alla fonte sui compensi corrisposti, diversamente da quanto ipotizzato nel quesito.

Sembra ragionevole ritenere che l’esenzione operi anche nel caso in cui le lezioni siano rese collettivamente a un gruppo di allievi.

Si fa presente, inoltre, che l’attività sarà soggetta alla gestione separata Inps.

Quando le lezioni private diventano attività abituale, l’insegnante di lezioni private è considerato un esercente arti e professioni, diventando soggetto passivo ai fini Iva. In questo caso l’insegnante è obbligato:
a) a chiedere l’attribuzione del numero di partita Iva;
b) a presentare la dichiarazione Iva annuale e assolvere a ogni altro obbligo previsto dalla legge.

In definitiva, per le lezioni private (in materia scolastica o universitaria), se l’attività è occasionale, l’insegnante può limitarsi a consegnare all’allievo una ricevuta in carta semplice. Una seconda copia della ricevuta resta all’insegnante per la dichiarazione dei redditi, da inserire nella voce “altri redditi”. Se invece le prestazioni hanno il carattere della abitualità il lettore deve emettere la fattura in esenzione di Iva. Infine, se l’attività viene posta all’interno di una scuola privata, è necessaria l’apertura della partita Iva.

martedì 21 gennaio 2014

C’è un modo per evitare il pignoramento integrale di stipendi o pensioni?

Pensioni e stipendi, per legge, possono essere pignorati solo fino a un tetto massimo di un quinto. Si tratta, però, di un limite facilmente superabile. Il creditore, infatti, non deve far altro che attendere che tali emolumenti vengano depositati in banca: dopo tale momento, essi – confondendosi con gli altri risparmi – possono essere pignorati fino al 100%. È questo, almeno, sino ad oggi, l’orientamento dei giudici.

Posto, infatti, che il decreto legge “Salva Italia” ha imposto l’apertura di un conto corrente ove far affluire le pensioni superiori a mille euro la legge ha, di fatto, abolito la pignorabilità del “quinto”, rendendo assai più facile il pignoramento integrale della pensione.

Sembra però che ci sia una via d’uscita e il suggerimento è stato dato il mese scorso da una sentenza del Tribunale di Savona che ha escluso la possibilità che Equitalia possa pignorare tutto il conto corrente del pensionato qualora questi riesca a dimostrare che, all’attivo del conto, non vi siano altre voci diverse dalla pensione. In tal caso, riuscendo a dare prova al giudice che sul conto vi affluiscono solo e unicamente i redditi pensionistici, è possibile bloccare Equitalia e far applicare la regola generale in base alla quale la pensione non può essere pignorata fino al minimo vitale (525,89 euro) e, per la residua parte, solo nei limiti di un quinto.

Un assegno di pensione o uno stipendio resta, infatti, tale anche se è depositato su un libretto postale conto corrente, e pertanto non può essere pignorato oltre i limiti fissati dalla legge.

Stando, quindi, a questo condivisibile precedente, tutto ciò che dovrà fare il pensionato o il lavoratore subordinato è di non utilizzare il conto per farvi affluire somme diverse, rispettivamente, dalla pensione o dal reddito di lavoro. In tal caso, è legittimo chiedere la sospensione del pignoramento integrale.

lunedì 20 gennaio 2014

Sono un dipendente pubblico e svolgo mansioni superiori a quelle che dovrei normalmente svolgere da contratto. Ho diritto ad una retribuzione superiore? Cosa posso fare?

Non solo nel rapporto di lavoro privato, ma anche nel pubblico impiego privatizzato, il dipendente adibito a mansioni superiori rispetto a quelle indicate nel contratto ha diritto a rivendicare, nei confronti del datore di lavoro, una retribuzione superiore. Ciò è stato sottolineato recentemente dalla Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 796/14)

La condizione è, ovviamente, che le mansioni superiori assegnate siano state svolte nella loro pienezza e che il lavoratore abbia esercitato i poteri e assunto le responsabilità correlate a dette superiori mansioni. Così, per esempio, un dipendente dell’Asl con qualifica di infermiere generico potrebbe agire onde ottenere le differenze retributive per aver di fatto svolto mansioni superiori di infermiere professionale.

Nel rapporto di lavoro pubblico, la legge (art. 52 del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165) prevede che l’assegnazione del lavoratore alle mansioni superiori (al di fuori di alcuni casi espressamente previsti dalla norma) è nulla, ma al lavoratore è comunque riconosciuta la differenza di trattamento retributivo tra le due qualifiche.

La Suprema Corte ha sottolineato il diritto di ogni lavoratore a vedersi riconosciuta una retribuzione proporzionata e sufficiente, così come imposto dalla Costituzione. E ciò vale anche nel rapporto di lavoro pubblico, anche a prescindere dalla presenza o meno di un provvedimento formale di assegnazione del dipendente alle diverse superiori mansioni.


L’unica ipotesi in cui potrebbe essere compresso il diritto alla retribuzione superiore si ha nei casi di mansioni superiori effettuate all’insaputa dell’ente o con la fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente.

venerdì 17 gennaio 2014

Cosa succede se, una volta stipulato il “contratto preliminare”, ci si accorge che l’immobile promesso in vendita è privo del certificato di abitabilità?

Il certificato di abitabilità è un requisito essenziale del bene venduto, poiché vale a incidere sull'attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione.

Dunque è lecito chiedersi cosa succede se, una volta stipulato il compromesso, ci si accorge che l’immobile promesso in vendita è privo del certificato di abitabilità. Si è costretti ugualmente a presentarsi dal notaio per il rogito oppure ci si può sottrarre all'affare e ottenere la restituzione di eventuali caparre versate?

Una risposta chiara in merito è stata data dalla Cassazione che, con la sentenza n.  629/14, ha chiaramente affermato che, in tali casi, il mancato rilascio del certificato di abitabilità da parte del venditore integra un inadempimento contrattuale. Pertanto, ciò consente al futuro acquirente di rifiutarsi di presentarsi dal notaio per la stipula del contratto definitivo.

Ovviamente, in tali casi, un consiglio prezioso sarà quello di inviare, al venditore, una lettera di diffida, in cui si chiariscano le ragioni per cui ci si sottrae al rogito. Ciò affinché il venditore non possa intendere il rifiuto dell’acquirente come un inadempimento da parte di quest’ultimo.

La Corte poi precisa che l’inadempimento del venditore viene meno solo nel caso in cui sia intervenuto il successivo rilascio del certificato. In tal caso, dunque, il fatto che in precedenza l’abitabilità non fosse stata concessa non potrà essere utilizzato come scusa, dall'acquirente, per evitare di firmare la vendita definitiva.

mercoledì 15 gennaio 2014

Dopo la promessa di matrimonio, la mia futura moglie si è tirata indietro. Posso chiederle un risarcimento?


Gentile lettore, la promessa di matrimonio non è un contratto, pertanto, da essa non sorge l’obbligo di contrarre matrimonio. Una eventuale clausola penale o una caparra pattuita a garanzia dell’adempimento della promessa di matrimonio sarebbe nulla.
 
Nel nostro ordinamento non è neppure ammesso l’utilizzo di norme straniere che consentano un adempimento forzato della promessa di matrimonio, in virtù del principio della libertà del consenso, che è principio di ordine pubblico.
 
L’inadempimento della promessa di matrimonio può essere, tuttavia, fonte di limitata responsabilità e quindi di risarcimento, ma è necessario che la promessa medesima sia stata prestata in forma solenne: ciò si verifica quando essa è reciproca e redatta tramite atto pubblico o scrittura privata, oppure quando risulti nella richiesta delle pubblicazioni matrimoniali. In questo caso, scatta il risarcimento relativo alle spese sostenute e agli impegni assunti in vista del matrimonio. Invece, il mancato adempimento della cosiddetta promessa semplice obbliga solo alla restituzione dei doni.
 
L’azione di restituzione dei doni (art. 80 c. civ.) può essere esercitata entro il termine di un anno dal giorno del rifiuto della celebrazione del matrimonio o dal giorno della morte di uno dei promittenti; l’azione di risarcimento del danno (art. 81 c. civ.) può essere esercitata entro il termine di un anno dal giorno del rifiuto della celebrazione del matrimonio.
 
doni da restituire come conseguenza dell’inadempimento della promessa di matrimonio sono solo quelli fatti in relazione al matrimonio e non quelli fatti per affetto (sono state considerate, ad esempio, oggetto di restituzione le somme versate per la ristrutturazione della casa).

martedì 14 gennaio 2014

I parcheggi del Comune in cui abito sono tutti a pagamento (strisce blu)? È legittimo tale comportamento da parte dell’amministrazione?


Una recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 5768/2013)  ha sottolineato che il Comune non è sempre tenuto a realizzare parcheggi a pagamento solo se nelle adiacenze ve ne siano liberi; dunque, le strisce blu non sottostanno a questa regola generale se la zona ha particolari esigenze di traffico veicolare.
 
Il codice della strada (artt. 7 e 8) prevede la regola secondo cui il Comune, quando assume l’esercizio diretto del parcheggio con custodia o lo dà in concessione, ovvero dispone l’installazione dei dispositivi di controllo di durata della sosta, su parte della stessa area o su altra parte nelle immediate vicinanze, deve riservare un’adeguata area destinata a parcheggio rispettivamente senza custodia o senza dispositivi di controllo di durata della sosta. In altri termini, il Comune deve garantire l’alternanza tra parcheggi a pagamento e parcheggi liberi.
 
Tale regola subisce tuttavia un’eccezione quando la zona interessata ha particolari esigenze di traffico; in particolare, il Comune può legittimamente realizzare soltanto parcheggi a pagamento: nelle aree pedonali, nelle zone a traffico limitato nonché in quelle aree ad alta rilevanza urbanistica individuate dalla Giunta comunale con apposito provvedimento.
 
Dunque, il Comune può realizzare parcheggi a pagamento senza dover contemporaneamente realizzarne di gratuiti nelle vicinanze quando si tratta di zone con particolari esigenze di traffico. Queste ultime devono essere individuate con un provvedimento che illustri in modo adeguato i motivi logici e razionali per i quali si è ritenuto che la rilevanza urbanistica della zona fosse tale da vincolare la sosta degli autoveicoli al pagamento di una tariffa.

lunedì 13 gennaio 2014

Si è incendiata un’auto sotto al palazzo di mia proprietà. Chi risarcisce ora i danni procurati alla facciata dell’edificio?

Qualora un’auto prenda fuoco, possono essere numerose le problematiche che ne derivano sia per il proprietario che per eventuali terzi danneggiati dalle fiamme che hanno compromesso beni circostanti. Cerchiamo quindi di analizzare su chi spetti, in tali casi, l’obbligo di risarcimento e come comportarsi. 

In generale, secondo un orientamento ormai costante della giurisprudenza, i danni causati a terzi dall'incendio di un veicolo che sosti in area pubblica, o a essa equiparata, sono da ritenere a tutti gli effetti danni derivanti dalla circolazione del veicolo. Infatti la legge stabilisce che sono considerati in circolazione anche i veicoli in sosta su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate (Art. 2 del D.P.R. 24 novembre 1970, n. 973). 


Pertanto, l’obbligo di provvedere a risarcire gli eventuali danneggiati grava sull'assicurazione dell’auto in base alla normale polizza RCA che tutti i cittadini sono tenuti a stipulare. Così, per esempio, se l’incendio ha provocato danni a un edificio (infissi, intonaco, tinteggiatura, ecc.), il condominio o il proprietario dell’edificio dovrà rivolgersi all'assicurazione del proprietario dell’auto. 


Fa eccezione il caso di incendio doloso, in cui l’incendio del veicolo sia dipeso da caso fortuito. È caso fortuito tutto ciò che non può essere ragionevolmente prevedibile: per esempio l’azione dolosa di terzi che abbiano intenzionalmente incendiato l’auto o un’altra auto vicina, un fulmine, ecc. In tali casi, l’assicurazione non è più tenuta a risarcire il danno ai terzi danneggiati. 

Tenuta a dimostrare l’eventuale dolo del terzo è l’assicurazione. È su di essa che grava il cosiddetto onere della prova (Art. 2054 cod. civ.; cfr. Cass. sent. n. 16895 del 20.07.2010); in mancanza di tale dimostrazione, l’assicuratore è tenuto a versare il risarcimento. 


Al contrario, in caso di cattivo funzionamento del veicolo, scatta la responsabilità del proprietario, il quale risponderà personalmente dei danni arrecati a terzi.

domenica 12 gennaio 2014

Cos’è il “JOB ACT” di cui si sente tanto parlare in questi giorni?

Il Job Act è pacchetto di proposte sul lavoro che il neosegretario del PD Matteo Renzi vorrebbe fosse approvato a stretto giro dal Governo Letta. Il Job Act, un nome che evoca scenari americani, non è altro che un pacchetto di misure per il lavoro: non si tratta in tutti i casi di nuove proposte, come lascerebbe intendere il nome, anzi. Si tratta però di un disegno organico e fortemente influenzato dalle idee in tema di lavoro di una certa parte del centrosinistra italiano, ma anche di parte degli “addetti ai lavori”, a partire dai paladini della cosiddetta flexicurity. A partire dal reddito di cittadinanza, anche se la formulazione del pacchetto ideato dal segretario PD presenta alcuni aspetti innovativi rispetto alle proposte circolate in passato. Renzi parla infatti di “reddito minimo”, misura da affiancare ad una decisa revisione dei contratti di lavoro.

Contratto unico d’inserimento per i giovani. E’ il piatto forte del Job Act renziano: se da un lato si chiede maggiore flessibilità in uscita, dall’altro si punta ad una netta semplificazione delle forme contrattuali applicabili ai giovani sotto una certa età. Renzi propone infatti un contratto unico d’inserimento, a tempo indeterminato, per tutti i giovani al primo impiego, per il quale non varrebbe l’articolo 18.

Eliminazione contratti a progetto e altre forme precarie. Renzi propone anche la cancellazione della possibilità di stipulare contratti a progetto ai giovani privi di particolari esperienze di lavoro.

Il Job Act, secondo Renzi, dovrebbe contenere l’ennesima revisione delle forme contrattuali, un piano di rilancio dei Centri per l’impiego pubblici, una nuova e più efficace riforma degli ammortizzatori sociali.


Insomma, sul tavolo del segretario PD sta prendendo forma una proposta molto articolata, che dovrebbe toccare anche il tema, caldissimo, delle pensioni d'oro.

sabato 11 gennaio 2014

Dovrei installare un pergolato in legno nel mio giardino. Necessito di un permesso a costruire?


Gentile lettore, il pergolato non necessita di permesso a costruire se risponde a determinati requisiti:

a) deve avere una natura ornamentale (per esempio se funge da sostegno per piante rampicanti a mezzo delle quali realizzare riparo oppure ombra per superfici di modeste dimensioni);

b) deve consistere in una struttura leggera, sia essa di legno o di qualsiasi altro materiale di minimo peso;

c) deve essere facilmente amovibile e privo di fondamenta.

Al contrario, non può considerarsi un pergolato una struttura costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, tali da rendere la struttura solida e robusta e da farne presumere una permanenza prolungata nel tempo. In tal caso è necessario ottenere un permesso a costruire altrimenti l’opera si considera abusiva e può essere emanata l’ingiunzione di demolizione.

In definitiva, se la struttura è fissa al suolo, ossia non è amovibile e non ha la natura ornamentale, è necessario il permesso a costruire. A stabilire la linea di demarcazione tra le due strutture è stata una recente sentenza del Tar Campania (n. 3972/13).

venerdì 10 gennaio 2014

Quali sono le tutele per chi viaggia in aereo? Cancellazione del volo, ritardi e bagagli smarriti. Vediamo i dettagli

Nell'ambito dei trasporti aerei, il viaggiatore che ha subito una cancellazione del volo ha diritto, secondo le norme UE, alla stessa compensazione economica offerta in caso di imbarco negato, a meno che:

a) non sia stato informato della cancellazione almeno due settimane prima della data di partenza; 
b) non abbia ricevuto un volo alternativo a un orario vicino a quello originale; 
c) la compagnia aerea non riesca a dimostrare che la cancellazione è stata causata da circostanze eccezionali.

La compagnia può offrire una scelta tra: a) rimborso del biglietto entro sette giorni; b) un volo alternativo per la destinazione finale in condizioni simili a quelle originali, e all'occorrenza l’assistenza necessaria (accesso ad un telefono, bevande, vitto, alloggio e trasporto all'alloggio). 

Nel caso di acquisto di un pacchetto vacanza, i tour operator hanno l’obbligo di fornire informazioni accurate e complete sulle prenotazioni. Devono onorare i termini contrattuali e tutelare i passeggeri in caso di insolvenza. 

Nel caso in cui il bagaglio sia smarrito, danneggiato o subisca ritardi, il passeggero ha diritto ad un risarcimento massimo di 1220 euro. Tuttavia le compagnie aeree non sono responsabili se hanno adottato tutte le misure possibili per evitare il danno o se non era possibile adottare tali misure.

giovedì 9 gennaio 2014

È nulla la cartella Equitalia che non indica i termini o le modalità per presentare ricorso?


La cartella di pagamento notificata da Equitalia contenente indicazioni errate circa i termini e le modalità per presentare il ricorso non è nulla. La Commissione Tributaria Regionale di Palermo, con una recente sentenza (sent. n. 82/2013), ha precisato che non si formano preclusioni o decadenze a carico del contribuente, il cui ricorso, pertanto, potrà essere ricevuto anche oltre i termini di presentazione previsti dalla legge.

Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, la totale mancanza o la errata indicazione nel provvedimento impugnabile dei termini e/o delle modalità di impugnazione dello stesso, impedisce che si perfezionino, a carico del ricorrente, decadenze preclusioni processuali correlate a quei termini e/o a quelle modalità. Ciò, in pratica, vuol dire che anche nel caso in cui il contribuente presenta ricorso oltre i termini previsti dalla legge, e ciò avviene solo perché le indicazioni contenute nella cartella lo abbiano tratto in errore, il ricorso deve essere ugualmente accettato; è quello che la legge chiama “principio della tutela dell’affidamento”, applicabile anche al contenzioso tributario.