martedì 24 settembre 2013

Lo stato miserevole del capitalismo italiano. Addio Telecom Italia, addio Italia. Perchè Telecom ha venduto?

L'accordo in Telco è raggiunto. I soci della holding al 22,4% di Telecom hanno sottoscritto un’intesa che prevede l’uscita graduale degli azionisti italiani (Generali, Mediobanca e Intesa SP) e la salita degli spagnoli di Telefonica fino al 65-70% in una prima fase, ma potendo arrivare al 100% di Telco sin dal prossimo gennaio. In sostanza, gli spagnoli controlleranno Telecom con il 22,4% e la transizione da qui al nuovo anno serve solo per prendere tempo e farsi rilasciare le dovute autorizzazioni in Italia e all’estero e a mettere mano al riassetto dell’ex monopolista.

 

Tra equity e assunzione di debiti, l’operazione costerà a Telefonica appena 800 milioni. Con questi spiccioli, il controllo passerà agli spagnoli. L’entità è così bassa, che bene delinea lo stato miserevole del capitalismo italiano.

 

La soluzione Telefonica è la peggiore che avrebbe potuto spettare a Telecom. Gli spagnoli sembrano investire per liquidarsi definitivamente di un loro concorrente. Non si tratta di nazionalismo finanziario. Nessuno rimpiange l’era Colaninno e quella di Tronchetti-Provera. L’accordo di ieri è l’ultimo atto di una privatizzazione che negli anni Novanta ebbe tutto il sapore di una regalia e che oggi si conclude con la distruzione dell’asset per mani straniere.

 

Il futuro della compagnia italiana è che Telefonica ha agito non da azionista di controllo, quindi, da proprietario che ha a cuore le sorti della controllata, bensì da rivale.

 

L'operazione non dovrebbe avere ricadute sul piano occupazionale, almeno a dare credito all'amministratore delegato di Telecom, Marco Patuano, che poche ore prima dell'intesa aveva rassicurato: «Non sono intenzionato a licenziare proprio nessuno», aggiungendo però che serve «un modello sostenibile nel lungo termine, che favorisca gli investimenti e quindi regole stabili pro-competitive e pro-investimenti». Ma i sindacati parlano di 16mila posti di lavoro a rischio.

Cosa ne sarà dell’Italia? 

Claudio De Lucia