L'accordo in Telco è raggiunto. I soci della
holding al 22,4% di Telecom hanno sottoscritto un’intesa che prevede l’uscita
graduale degli azionisti italiani (Generali, Mediobanca e Intesa SP) e la
salita degli spagnoli di Telefonica fino al 65-70% in una prima fase, ma
potendo arrivare al 100% di Telco sin dal prossimo gennaio. In sostanza, gli
spagnoli controlleranno Telecom con il 22,4% e la transizione da qui al nuovo
anno serve solo per prendere tempo e farsi rilasciare le dovute autorizzazioni
in Italia e all’estero e a mettere mano al riassetto dell’ex monopolista.
Tra equity e assunzione di debiti, l’operazione
costerà a Telefonica appena 800 milioni. Con questi spiccioli, il controllo
passerà agli spagnoli. L’entità è così bassa, che bene delinea lo stato
miserevole del capitalismo italiano.
La soluzione Telefonica è la peggiore che avrebbe potuto spettare a Telecom. Gli spagnoli sembrano investire per liquidarsi definitivamente di
un loro concorrente. Non si tratta di nazionalismo finanziario. Nessuno
rimpiange l’era Colaninno e quella di Tronchetti-Provera. L’accordo di ieri è
l’ultimo atto di una privatizzazione che negli anni Novanta ebbe tutto il
sapore di una regalia e che oggi si conclude con la distruzione dell’asset per
mani straniere.
Il futuro della compagnia italiana è che Telefonica
ha agito non da azionista di controllo, quindi, da proprietario che ha a cuore
le sorti della controllata, bensì da rivale.
L'operazione non dovrebbe avere ricadute sul piano
occupazionale, almeno a dare credito all'amministratore delegato di Telecom,
Marco Patuano, che poche ore prima dell'intesa aveva rassicurato: «Non sono
intenzionato a licenziare proprio nessuno», aggiungendo però che serve «un
modello sostenibile nel lungo termine, che favorisca gli investimenti e quindi
regole stabili pro-competitive e pro-investimenti». Ma i sindacati parlano di 16mila posti di lavoro a
rischio.
Cosa
ne sarà dell’Italia?
Claudio
De Lucia