Non si salva dalla sanzione della “censura” il magistrato che accumuli
ritardi superiori all’anno anche se ha qualche argomento a suo favore. Lo hanno
stabilito le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza
17556/2013, respingendo il ricorso della toga pur riconoscendo che “gli
elementi favorevoli addotti dalla parte sono stati tenuti presenti dalla Sezione
Disciplinare”, la quale tuttavia ha “ritenuto che le circostanze dedotte non
potessero avere una efficacia scriminante dei ritardi ma soltanto, quoad
poenam, giustificare l’irrogazione della sanzione minima della censura”.
La Cassazione ricorda infatti che al magistrato erano stati contestati
ritardi superiori, in undici casi, ai 700 giorni; in quaranta, ai 600 giorni; in
quarantuno, ai 500 giorni; in trentacinque ai 400 giorni; in ventuno, ai 300
giorni; in novantatre ai 200 giorni.
Dunque, argomenta la Suprema corte:
“In relazione a tali ritardi la Sezione Disciplinare, senza alcun automatismo,
ha applicato quella giurisprudenza delle Sezioni Unite (ad esempio sentenza n.
18697 del 2011) che ritiene naturalmente ingiustificabili i ritardi superiori
all’anno, in quanto superiori alla soglia della ragionevolezza, salva la
allegazione e dimostrazione di circostanze assolutamente eccezionali, nella
specie non verificatasi”.
Fonte: Diritto24
Claudio De Lucia