Gentile lettore,
pare proprio che il Governo si sia
prefissato l’obiettivo di riformare il Trattamento di Fine Rapporto,
la “liquidazione” accordata ai lavoratori dipendenti all’uscita definitiva
dall’azienda.
Lo scopo è quello di mettere moneta in
circolazione e rilanciare i consumi. Lo stesso
Presidente del Consiglio ha confermato che, dal 1° gennaio 2015, ogni
lavoratore dipendente riceverà in busta paga il 50% del
TFR maturato di volta in volta. Il residuo 50% resterà in
azienda e sarà liquidato alla cessazione del rapporto di lavoro, secondo le
regole applicate sino ad oggi.
Ma l’Esecutivo tiene a far sapere che
questa misura potrà scattare solo a patto che si creino le condizioni per
garantire alle imprese, “soprattutto sotto i dieci
dipendenti”, di non perdere minimamente liquidità. Non è, infatti,
un mistero che molte imprese si
sono autofinanziate proprio grazie al TFR accantonato,
evitando così di dover ricorrere all’usura delle banche.
L’operazione può decollare “utilizzando la
leva Bce” in termini di accesso agevolato al credito per le imprese.
Il tutto dovrebbe essere vincolato al dispositivo delle garanzie pubbliche
fornite esplicitamente dal Governo, rafforzando quelle già previste
indirettamente con il Fondo Inps, e con il possibile coinvolgimento della CdP.
Il flusso annuale delle liquidazioni supera di poco i 22-23 miliardi: 5,5
dei quali vengono indirizzati dai lavoratori ai fondi pensione, altri 6
confluiscono nel fondo di tesoreria dell’Inps e circa 11 miliardi restano in
azienda. In quest’ultimo caso a rimanere nelle disponibilità del datore di
lavoro è soprattutto il Tfr degli occupati in aziende con meno di 50 addetti
perché per quelle più grandi la liquidazione, se non viene convogliata sulla
previdenza integrativa, finisce nel fondo Inps. Di qui l’allarme soprattutto
delle imprese meno grandi. Ma il Governo è convinto che non ci siano rischi e
continua ad affinare questa ipotesi d’intervento anche sulla base dei
suggerimenti arrivati sul tema in primavera da leader della Fiom, Maurizio
Landini, ancora prima (nel 2011), da esponenti provenienti dal mondo della Cgil
come l’ex segretario Sergio Cofferati e Stefano Patriarca.
L’operazione scatterebbe solo per quei
lavoratori che prestano il loro consenso e
potrebbe essere a tempo: dal minimo di un anno a un
massimo di tre anni. Ma su questo punto potrebbe esserci un ripensamento.
Oltre al nodo della liquidità da garantire
alle imprese restano da sciogliere quello delle ulteriori compensazioni per le
aziende, del regime fiscale cui sottoporre
la liquidazione inserita direttamente in busta paga, e soprattutto la fetta di
Tfr da smobilizzare per provare a rilanciare i consumi. Su quest’ultimo fronte tre
sono attualmente le opzioni sul tappeto: destinazione del 50%, o del 75%, del
Tfr maturando nello stipendio lasciandone l’altra metà a disposizione delle
imprese; dirottamento di tutta liquidazione maturata a partire dal 2015 sullo
stipendio.
L’operazione in prima battuta
interesserebbe solo i lavoratori del settore privato. E alle imprese dovrebbe essere garantito
quanto meno lo stesso meccanismo fiscale agevolato previsto attualmente nei
casi di destinazione del Tfr ai fondi pensione. Resta da capire come
l’intervento potrà essere esteso gli “statali” per i quali la liquidazione è di
fatto figurativa.
Sempre sul terreno fiscale si presenta
l’altro grande ostacolo da superare. Renzi ha esplicitamente fatto riferimento
a un’erogazione mensile del Tfr in busta paga. In questo caso le liquidazione
verrebbe sottoposta a un prelievo fiscale maggiore rispetto alla “tassazione
sperata” che è attualmente prevista. Non è da escludere, quindi, che si possa
ricorrere a uno smobilizzo in un’unica soluzione annuale, una sorta di
quattordicesima.